La norma sulla trasparenza dei bilanci dei partiti non prenderà la strada dell’emendamento al decreto legge fiscale, ma con ogni probabilità imboccherà quella del disegno di legge. L’inammissibilità dichiarata ieri dal presidente della Camera, Gianfranco Fini, non lascia molti dubbi. La sostanza dell’accordo trovato dai partiti della maggioranza non sembra però in discussione. Verrà creata una Commissione per la Trasparenza composta dal presidente della Corte dei Conti, quello del Consiglio di Stato e dal primo presidente della Cassazione. I bilanci andranno poi pubblicati sia sul sito del partito che su quello della Camera, e non mancheranno le sanzioni per chi commette irregolarità.
«Mi sembra che i partiti, almeno per quanto riguarda la tempestività, siano sulla strada giusta – spiega a IlSussidiario.net Augusto Barbera, docente di diritto costituzionale all’Università di Bologna –. L’opinione pubblica, d’altra parte, non era più disposta a tollerare ritardi. Detto questo, avrei preferito una maggiore trasparenza e una minore timidezza riguardo alla riduzione degli importi. Il finanziamento pubblico ai partiti in Italia è infatti sette volte quello della Gran Bretagna e quattro volte quello della Germania».
A cosa si riferisce quando parla di una trasparenza ancora insufficiente?
È difficile comprendere il motivo per cui i contributi fino a 5.000 euro possano rimanere fuori da ogni certificazione e controllo. Non si tratta di cifre irrisorie e possono certamente prestarsi ad abusi.
Sul piano del finanziamento, invece, bisogna “rimediare” al tradimento del referendum del ’93?
Bisogna dire che inizialmente l’idea di sostituire al finanziamento il rimborso non era in violazione del referendum, ma ai limiti. Dopodiché, col passare del tempo, quei limiti sono stati ampiamente superati. Occorre quindi abbandonare il concetto di “finanziamento” e tornare a quello di “rimborso”: a fronte di spese documentate lo Stato eroga dei soldi, entro ovviamente un certo limite, che, come le dicevo, andrà abbassato.
C’è chi propone il “modello americano”, aprendo cioè al finanziamento dei privati, in una cornice di trasparenza.
Penso che sia meglio un sistema “misto”, che affianchi al rimborso pubblico le donazioni dei cittadini. Ad oggi, c’è una deduzione addirittura eccessiva, superiore per intenderci a chi vuol sostenere la ricerca scientifica, e poca trasparenza. Bisognerebbe pensare a strumenti come il 5 per mille, anche se in passato fallì il bizzarro meccanismo del 4 per mille perché era indirizzato al sistema dei partiti in generale e non poteva essere indirizzato al proprio partito di riferimento.
Bisognerà fare attenzione però alla privacy. Se non si tutelano le persone che non vogliono esporsi rischia di essere un fallimento anche questa volta.
Chi parla di “modello tedesco” ipotizza invece delle fondazioni che possano permettere ai partiti di autofinanziarsi.
Senza disconoscere il lavoro di alcune fondazioni meritevoli, il rischio di una proliferazione dissennata esiste. Bisognerebbe evitare però di tornare ai centri studi dei candidati ai tempi del proporzionale, che nascondevano dei veri e propri comitati elettorali.
Da ultimo, si torna a parlare dell’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione. Cosa dovrebbe implicare?
Qui si apre un capitolo più delicato. La Costituzione è infatti chiarissima sui sindacati (che dovrebbero avere personalità giuridica), ma lo è molto meno sui partiti. Ad ogni modo, andrebbe a mio avviso seguita la stessa strada, in modo che le forze politiche divengano delle associazioni riconosciute, con tutto ciò che ne consegue.
Come ad esempio?
Basti pensare ai diritti degli iscritti. Davanti a un’espulsione immotivata, chi la subisce potrebbe impugnare la decisione. E lo stesso potrebbe accadere tutte le volte che viene violato lo statuto interno, se vengono prese delle decisioni in assenza di quorum o se si scoprono delle tessere false.
E secondo lei la politica è pronta a questo passo?
Sinceramente ho qualche dubbio. Non ci riuscì quando i partiti erano vere associazioni, è più difficile che riesca adesso. Nel 1974, ad esempio, a questo si opposero sia democristiani che i comunisti. I primi perché avevano un problema di correnti interne e magari di tessere false, i secondi perché temevano l’invadenza dei magistrati, che allora erano considerati nemici.
Ad ogni modo me lo auguro perché a quel punto la riforma dei partiti sarebbe davvero compiuta. D’altra parte, l’antipolitica si combatte solo con la buona politica.
(Carlo Melato)