Ma esiste ancora una sinistra in Italia? La risposta a questa domanda è tuttaltro che scontata. Formalmente, la sinistra dovrebbe essere rappresentata dai post-comunisti e dai loro alleati della vecchia sinistra cattolica, il cattocomunismo emerso nell’immediato dopoguerra e che, dopo una serie di vicende storiche nazionali e internazionali, è diventato, di fatto e per interventi giudiziari, l’erede illegittimo di tutta la vecchia sinistra, sia quella di derivazione riformista sia quella, un tempo ortodossa, di “innamoramento” sovietico.



Insomma, schematizzando molto, la “pasionaria” cattocomunista Rosy Bindi e l’ex “comunista emiliano” Pier Luigi Bersani dovrebbero oggi rappresentare la tradizione ultracentaria di quello che un tempo si chiamava movimento operaio e democratico italiano. In realtà, sia la Bindi che Bersani sembrano gli esecutori testamentari di una sinistra che non esiste più e che non sa più intercettare e tradurre in proposta politica i nuovi problemi della moderna società italiana.



Anche le varianti “alternativiste” (che nella sinistra ci sono sempre state) come quella di Nichi Vendola, sembrano slegate dalla realtà sociale e politica del Paese. In pratica, i cosiddetti “eredi” di quella che poteva considerarsi la sinistra classica sono solo gestori di interessi limitati, circoscritti e a volte marginali rispetto alla necessità di diventare una classe politica di governo nazionale.

Questa premessa serve a comprendere i battibecchi (come altro chiamarli?) che settimanalmente nascono tra i protagonisti della sedicente sinistra classica e i rappresentanti di movimenti sorti all’inizio degli anni Novanta e poi consolidatisi con la scomposizione della vecchia sinistra italiana.
È il caso del “Movimento 5 stelle” dell’ex comico Beppe Grillo che, secondo un sondaggio della Swg di Trieste, raccoglierebbe a livello nazionale un 7,2 percento di consensi. In un panorama elettorale dove è prevista una delle più alte percentuali di astensione dal voto. Forse è proprio questo dato, elaborato da un’agenzia storicamente legata alla sinistra, che ha fatto scattare i nervi a Pier Luigi Bersani.



Intervistato a Tgcom 24, il leader del Pd ha detto: “Se c’è qualcuno che pensa di stare al riparo dell’antipolitica si sbaglia alla grande. Se non la contrastiamo spazza via tutti”. E Bersani ha pure aggiunto: “Siamo nei guai”. Poi ha concluso: ”Beppe Grillo è un fenomeno di populismo che non ha le caratteristiche per offrire una prospettiva al nostro Paese. Considero il populismo un nemico. Quando sono crollati la democrazia e i partiti negli anni ’30, il populismo ha fatto nascere un’avventura drammatica. I regimi reazionari sono stati alimentati dalle culture populistiche. Il nostro problema è ricostruire la democrazia, la credibilità delle forze organizzate per fare politica”.

Dal lato suo Nichi Vendola, forse anche lui preoccupato dai suoi guai e dal grillismo dilagante, ha spiegato a Sky Tg24: “Ci sono delle involuzioni nel discorso pubblico di Grillo che colgo con preoccupazione, alcune battute che sembrano in stile leghista, una mescolanza di argomenti di estrema sinistra ed estrema destra e questo me lo rende un fenomeno tuttora da decifrare e guardare con attenzione ma è un fenomeno inquietante”. 

È utile ricordare che l’accusa di “populista” era un classico della cultura bolscevica da Lenin, a Stalin fino al kominternista Ercoli, cioè PalmiroTogliatti. Forse Bersani dovrebbe aggiornare i suoi epiteti, studiare magari, oltre al populismo russo, anche quello americano, che era tutt’altra cosa e niente affatto negativa. Poi dovrebbe ripassare la storia sul dramma mondiale degli anni Trenta, dove spara sentenze storiche piuttosto schematiche per essere convincente. 

Anche Vendola usa un linguaggio veterocomunista come l’aggettivo “inquietante”, tra l’altro contro un personaggio che è stato vezzeggiato, “accarezzato” e “coltivato” ai tempi dell’antisocialismo craxiano, fino a diventare un simobolo in quella che viene contrabandata come l’epica battaglia contro Silvio Berlusconi. Intanto Beppe Grillo, con molti simpatizzanti, continua a fare la sua professione di “comico imprestato alla politica”, usando argomenti di destra e di sinistra, riempiendo di fatto un vuoto che altri hanno creato. 

Quando nel suo blog, il comico spiega: “Rigor montis in cinque mesi di governo è ringiovanito, l’aria di Palazzo Chigi gli ha fatto bene dopo anni di panchina in Bocconi. Pdl e Pdmenoelle sembrano invece invecchiati di un secolo. Il Liquidatore Finale è sempre più vivo. Non hanno alternative, devono appoggiare il governo e nascondersi sotto le gonne della Governante di Varese per non finire linciati, ma più dura Monti, più loro deperiscono”. Siamo in un linguaggio prepolitico, che però fotografa perfettamente la confusa situazione politica italiana, a cui la presunta sinistra non è in grado di rispondere, se non appunto con gli insulti pescati nel vecchio vocabolario che possiede. 

Di fatto, Grillo, è l’espressione della confusione e del ribellismo di un ceto medio italiano che è disabituato da venti anni a un reale dibattito politico e che oggi si trova tassato oltre ogni misura, impoverito e pure escluso da ogni partecipazione e rappresentanza democratica. Ma Grillo non è la causa principale della confusione politica italiana, è solo l’effetto grottesco di una carenza politica generale, ma soprattutto degli errori e della particolare deficienza di iniziativa politica della sinistra italiana, così come lo sono i De Magistris e i Di Pietro. 

Tanto per cambiare, Bersani e Vendola scambiano le cause con gli effetti. Un errore che può diventare un autentico harakiri e che potrebbe solo essere la conclusione del caos che è nato nella sinistra italiana dopo gli anni del manipulitismo, del giustizialismo e del “civettare” compiacente con la finanza nazionale e internazionale. Per ora siamo solo ai battibecchi nell’area che va dalla sinistra tradizionale, all’alternatisvismo e ai “movimenti paracomici”. Ma nel quadro molto complicato della situazione italiana, questi battibecchi possono trasformarsi in qualche cosa di peggiore che alla fine può investire l’intero Paese e il suo sistema democratico. 

Abbiamo un presidente del Consiglio “tecnico” che non riesce a trascinare il paese fuori da una crisi economica mondiale drammatica, ministri che sembrano “piovuti dal cielo” e non sanno neppure quante persone resteranno “senza stipendio e senza pensione”. In più si è aggiunto un Presidente della Repubblica, probabilmente deluso dalla soluzione “tecnica” scelta e ansioso di pareggiare il bilancio statale, che si rivolge contro gli evasori fiscali (anche quelli che magari sono già tassati come in nessuna altra parte del mondo) e non vede che il capo della polizia o il presidente di un’authorty italiana guadagnano di più del presidente americano Barack Obama o della Regina Elisabetta. 

Altro che crescita! Come in un vecchio schema comunista, l’obiettivo dichiarato di tutto l’apparato istituzionale italiano sembra concentrato nell’attacco al ceto medio. In questo, sono addirittura a sinistra di Lenin, che si poneva sempre il problema di “bloccare e tranquillizzare“ il ceto medio in una società che era allora preindustriale. Non è difficile immaginare che questo ceto medio, che oggi è la stragrande maggioranza del Paese, alla fine resterà deluso anche dalle intemerate paracomiche di Grillo. 

Ma poi che cosa succederà? Gli acculturati signori della sinistra ripassino un pochino alcuni libri di storia e cerchino di rendersi conto di che cosa avviene, in genere, quando si muove il ceto medio di un paese occidentale. Sono sempre sfracelli e drammi. Forse bisognerebbe pensare a evitarli con politiche corenti e persuasive, invece di lasciare l’iniziativa agli ex comici, che un tempo servivano per rompere determinati euqilibri politici ed elettorali.