«Non pensate di cavarvela così, sparando frasi fatte sull’antipolitica. Nessuno uscirà da qui, parafrasando Jim Morrison, senza un pubblico dibattimento. Senza una pena esemplare». La risposta di Beppe Grillo alle accuse della politica non si è fatta attendere. Il leader del Movimento 5 Stelle ha dalla sua i sondaggi e la convinzione di poter gonfiare le proprie vele con il “vento dell’antipolitica”, senza troppa concorrenza. Ma da dove nasce questo vento? Soltanto dagli errori dei partiti? «Le forze politiche hanno le loro colpe – spiega a IlSussidiario.net il direttore de L’Unità, Claudio Sardo –, anche se a mio avviso una democrazia senza partiti resta inconcepibile e l’antipolitica costituisce un grave pericolo. I fattori che la alimentano comunque sono due. Innanzitutto il fatto che le istituzioni democratiche e gli stati nazionali contano sempre di meno. I cittadini hanno infatti la sensazione di votare e nominare dei Parlamenti e dei governi che, a causa dello strapotere della finanza, ormai si occupano soltanto della riproduzione del proprio potere. Per questo il fenomeno oggi accomuna tutto l’Occidente. Dopodiché ci sono delle cause proprie del nostro sistema politico».



A cosa si riferisce?

Alla torsione plebiscitaria e personalistica che la politica di questo Paese ha subito negli ultimi vent’anni. Abbiamo infatti costruito un presidenzialismo “all’italiana” fondato sul maggioritario di coalizione. In questo modo abbiamo assecondato un processo di impoverimento del circuito partecipativo della politica, favorito anche da una competizione sempre più fondata sulle persone e non sui partiti.
A questo proposito tutti gli attori in gioco hanno le loro responsabilità. Sia chi ha provato a cavalcare l’antipolitica per rafforzare la propria leadership, sia chi non ha capito quali erano i rischi che stavamo correndo.



Ma secondo lei oggi chi ha interesse a screditare la politica?

L’establishment e i poteri forti lavorano per mantenere la politica in una posizione di subalternità e per tenere lo scontro ancorato alle leadership, di certo molto più facili da influenzare per le lobby, rispetto ai partiti popolari. Non è un caso, a mio parere, che i difensori del Porcellum e del maggioritario di coalizione, condizioni essenziali per impedire la rinascita dei partiti, siano molti di più di quanto non sembri.
Chi però cavalca l’antipolitica per dare il colpo finale a quel che resta dei partiti non può fingersi un innovatore.



Cosa intende dire?

I veri innovatori sono coloro che lavorano per ricostruire una democrazia nella quale i partiti tornino a essere radicati e ad avere un baricentro più vicino alla società. Chi invece vuole che continui a svilupparsi tra leadership isolate sono gli oligarchi e le varie tecnocrazie, ovvero i conservatori, quelli che vogliono che tutto resti com’è. Per intenderci, gli stessi che pensano che ci sia un pensiero unico, un unico governo possibile, costituito da esecutori di un unico mandato. Per loro i partiti non servono, molto meglio che i singoli individui siano soli davanti allo Stato.
Purtroppo su queste posizioni si sta saldando un’alleanza trasversale di conservatori, a cui si sta cedendo gran parte della nostra classe intellettuale, sempre più vinta dallo sdegno per gli inqualificabili errori della politica.

A questo proposito, stiamo vivendo le prime fasi di una seconda Tangentopoli? 

A mio avviso la storia non si ripete, anche se alcuni tratti comuni sono evidenti. Se vogliamo, però, nella fine ingloriosa della Seconda Repubblica c’è addirittura un aggravante. Stiamo attraversando la crisi sociale più acuta che le generazioni post-belliche abbiano conosciuto. Di conseguenza, si sommano sentimenti di pessimismo e di sfiducia davanti a fenomeni di corruzione dilaganti e direi piuttosto avvilenti. 
  
Come deve reagire la classe politica secondo lei?

Riformandosi. C’è un programma che va completato in tempo che va dal finanziamento dei partiti, che a mio avviso deve rimanere pubblico, alla legge elettorale. Al primo punto, a mio avviso non si può rinunciare, perché l’attività politica è un bene pubblico. Chiaramente bisognerà trovare strumenti sobri e adeguati, tenendo conto che il Paese è in ginocchio. Se però ci si ferma a metà del guado si va incontro a una crisi democratica senza precedenti. 

La politica rischia di essere commissariata di nuovo nel 2013?

Alle prossime elezioni i cittadini devono scegliere tra ipotesi alternative, con una nuova legge elettorale. Per ottenere questo risultato i partiti, a mio avviso, hanno il dovere di unire le forze, per poi tornare a dividersi. Non possiamo dire agli elettori che il loro voto non conta nulla e che la soluzione tecnica è già pronta. Sarebbe la fine della democrazia.

(Carlo Melato)

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