Che fosse un vertice diverso dal solito era evidente. A partire dalla durata a dal numero di convitati. Quasi sei ore in cui, oltre al premier Monti, e ai leader di Pdl, Pd e Udc, erano presenti i ministri Paola Severino, Corrado Passera, Elsa Fornero, Enzo Moavero, Piero Giarda, Filippo Patroni Griffi, Vittorio Grilli, e il sottosegretario Antonio Catricalà. Hanno discusso di riforma del lavoro, di crescita, di occupazione e di giustizia. Al termine, il presidente del Consiglio si è detto soddisfatto del “nuovo patto politico” raggiunto. Al di là degli intenti ufficiali, tuttavia, la riunione è stata convocata perchè il premier si sente stretto alle corde, subodora la “ribellione” e ha inteso correre ai ripari. Abbiamo chiesto a Luciano Ghelfi il vero significato dell’incontro di ieri.



Qual è stata la novità emersa dall’incontro?

Al di là della durata, dovuta anche all’alto numero di partecipanti, la reale novità è consistita nel metodo. Il governo si trova di fronte alla necessità di raccordarsi con le principali forze che lo sostengono quando, ad oggi, ha proceduto senza badare a interloquire realmente con esse.  



Rispetto all’inizio, cos’è cambiato?

La fuga in avanti sul beauty contest non è stata digerita dal Pdl, e ha rappresentato l’ennesima prova dello scollamento con la propria maggioranza. Certo, il governo tecnico è cosa ben diversa dai partiti che lo sostengono; ma ha pur sempre bisogno del loro appoggio per varare ogni singolo provvedimento.

Monti sta percependo il rischio che da qualcuno gli possa esser revocata la fiducia?

Sì, da almeno un mese. Conclusa l’emergenza, quando qualunque proposta il governo facesse veniva comunque accetta, siamo giunti in una fase in cui il sostegno va contrattato.



Il Pdl, quindi, potrebbe defilarsi laddove le sue richieste sul beauty contest non fossero esaudite. Gli altri partiti, invece, cosa considerano merce di scambio?

Il Pd ritiene determinante la definizione ultima che assumerà la riforma del mercato Lavoro, mentre il Terzo polo e, in particolare, Fli, sarebbero parecchio scontenti se si procedesse sulle intercettazioni come è stato prospettato.

Eppure, si direbbe che il Pd, almeno per il momento, sia stato accontentato. La riforma del Lavoro, specie sul fronte della flessibilità in uscita, è stata parecchio ammorbidita rispetto alle intenzioni iniziali

Effettivamente, è così. Diciamo che è stato molto convincete, più del Pdl. Evidentemente, ha avuto modo di far sentire più forte le proprie ragioni.

Sulla riforma elettorale, c’è il rischio di spaccatura?

Per il momento, mi pare in alto mare. Una cosa è l’accordo di fondo, altra calare le misure concrete nella realtà. Ci sono svariate resistenze trasversali, a partire dal fronte referendario, di cui fanno parte l’Idv e parte del Pd, che non vogliono l’archiviazione del bipolarismo cui si arriverebbe secondo l’attuale intesa fondata sulla bozza Violante.

Sembrano tutti d’accordo, invece, almeno nella maggioranza, a non rinunciare ai fondi pubblici

E’ passato un pessimo messaggio, secondo cui non hanno intenzione di rinunciare ad un solo centesimo. Nessuno, d’altro canto, è stato in grado di spiegare perché il finanziamento pubblico occorre e quale sia la sua logica.  Il tutto, a vantaggio di Grillo, e dell’antipolitica. Se un messaggio altrettanto negativo dovesse passare rispetto alla legge elettorale, le conseguenze alle urne potrebbero essere molto pesanti.

Crede, in ogni caso, che i partiti sopravviveranno  al dopo-Monti?

Occorre attendere l’esito delle Amministrative. Alcuni dinamiche si innescheranno dopo maggio. Successivamente, è probabile un rimescolamento delle carte. Va rilevato, ad esempio, che Casini è alleato con il Pdl nelle principali città dove si va al voto: Palermo, Genova e Verona. Difficilmente, in seguito, ci si potrebbe muovere in direzione opposta.

La crisi della Lega come potrebbe influire sul futuro delle alleanze?

E’ sufficiente ricordare che l’Udc, nel recente passato, ha più volte ribadito: mai con il Pdl finché farà asse col Carroccio.  

 

(Paolo Nessi)