Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è intervento alla giornata in memoria di Luciano Cafagna, storico e studioso, tra i primi a lasciare il Partito comunista, dopo essere stato eletto deputato tra le sue fila, in seguito ai fatti d’Ungheria. Napolitano lo conosceva personalmente, erano amici e, ricordandolo, lo ha indicato come esempio da seguire per confrontarci con la sfida che abbiano davanti. Ovvero la trasformazione della politica. Il capo dello Stato ha auspicato di poterla vedere sollevarsi «dall’impoverimento culturale che ne ha segnato la decadenza». Secondo l’inquilino del Colle, Cafagna aveva saputo applicare la propria intelligenza politica all’incardinare la ricerca storica negli argini della verità; e, al contempo, aveva saputo dare le ragioni del fatto che la cultura storica, con le sue tradizioni e vicissitudini, è parte integrante e fondamentale di quella politica. Il presidente, ricordandone il sodalizio con Antonio Giolitti, ha sottolineato il suo rammarico per il fatto che la società di oggi non può più disporre dei preziosi consigli di cui avrebbe tanto bisogno in quella operazione di riforma morale di cui ha bisogno. Napolitano ha, poi, espresso l’auspicio nonché la necessità di un riavvicinamento dei giovani alla politica, attualmente decisamente lontani. Indicando nuovamente Cafagna come esempio, ha ricordato la sua passione politica e, contemporaneamente, la sua capacità di non tradurla direttamente nella propria professione. Di tutta la produzione dell’amico, poi, ci ha tenuto sottolineare i contenuti del capitolo conclusivo di un libro su Cavour del 1999, dove parlava della «categoria piuttosto contemporanea del “ricorso al centrismo” e insieme con essa una realistica valorizzazione delle “arti, a volte geniali a volte mediocri, della mediazione e del compromesso”». Napolitano si è voluto concentrare su tali elementi, facendo presente che si tratta di una valorizzazione in «controtendenza rispetto alle correnti demolitorie del percorso della cosiddetta Prima Repubblica e, rispetto ad una nascente mitologia del più perentorio bipolarismo».
La parole di Napolitano si inscrivono nel più ampio tentativo di operare per il rinnovamento della classe dirigente; complementari a quelle di oggi, sono quelle di alcuni giorni fa in cui ricordava che i partiti non possono essere considerati “il regno del male”.