Sono passati quasi quattro anni dal giorno in cui venne arrestato dalla Guardia di Finanza per un’inchiesta sulla sanità regionale avviata dalla Procura della Repubblica di Pescara. All’umiliazione delle manette seguirono ventotto giorni in regime di isolamento nel carcere di Sulmona. Poi i domiciliari, l’obbligo di residenza e una reputazione fatta a pezzi sui giornali di tutta Italia. Quel giorno, il 14 luglio del 2008, Ottaviano Del Turco era ancora Presidente della Regione Abruzzo, dopo una lunga carriera politica iniziata come sindacalista, poi come deputato, senatore, ministro e Presidente della Commissione parlamentare Antimafia. «Le mie dimissioni furono inevitabili – racconta Del Turco a IlSussidiario.net –. Non era più possibile fare il mio dovere in quelle condizioni, anche se, pochi anni prima, il 60% dei cittadini abruzzesi aveva votato per me. Ad oggi, però, della “montagna di prove schiaccianti” annunciate in conferenza stampa da un Procuratore della Repubblica, non si è ancora vista traccia, nonostante le centinaia di persone convocate inutilmente. Non solo, negli ultimi mesi le udienze sono state pochissime. E così sono ancora un indagato sottoposto a giudizio per una lunga serie di reati».
Spesso si parla di un uso disinvolto della carcerazione preventiva. Lei l’ha pagato sulla sua pelle…
Credo che sia una vergogna per il nostro Paese, a livello internazionale. Ricordo ancora la porta della mia cella: aveva le grate trasparenti. Ero osservato a vista, 24 al giorno, per sei turni di guardia. A qualunque ora della notte mi svegliassi, trovavo due occhi pronti a fissarmi. Non so se Al Capone subì lo stesso trattamento nel carcere di Chicago…
Di cosa deve rispondere davanti alla legge?
L’accusa più pesante è senz’altro quella di concussione. Mi incolpano in pratica di aver favorito, attraverso le mie leggi, l’attività di imprenditore che operava nel settore della sanità. Il fatto è che quella persona è stata così “favorita” da finire in una bancarotta da 200 milioni di euro. Contro di me quindi c’è la sua parola, anche se ormai si è scoperto che non sapeva come giustificare il buco causato dalla sua mania compulsiva di spendere i soldi. Peccato che nessuno, giornali compresi, fece un’inchiesta per capire come stava cambiando la sanità in Abruzzo.
A cosa si riferisce?
Nei tre anni della mia presidenza la Regione passò da un deficit di bilancio assolutamente intollerabile, che infatti giustificava il commissariamento, al pareggio. L’Abruzzo iniziava in pratica ad avere un sistema di controllo sull’appropriatezza dei ricoveri che produceva un recupero di 210.000 euro all’anno di fatture da non pagare alle cliniche. Una cifra che raggiunse addirittura i 31 milioni di euro.
Credo di essere il primo presidente di Regione che viene messo in carcere per aver risanato il bilancio. Spero di essere l’ultimo…
La gestione della sanità a livello regionale è nel mirino delle indagini e sulle prime pagine dei giornali: dalla Puglia di Nichi Vendola, raggiunto da un avviso di garanzia, alla Lombardia di Roberto Formigoni, nella quale invece si indaga sulle fondazioni private.
Un motivo c’è: la sanità rappresenta l’80% del bilancio di una regione. Per questo le indagini si concentrano su questo ambito, anche se in futuro prevedo che in parte si sposteranno sulla raccolta rifiuti.
Dico questo perché, a mio avviso, non c’è un rapporto tra la collocazione politica di Vendola o di Formigoni e le inchieste. Ma il buon governo della sanità, che nel caso di Formigoni è innegabile, impedisce a certi sistemi di potere di esercitare la propria attività in totale autonomia. Di conseguenza si cerca di sostituire chi fa le regole.
Mi scusi, quali sistemi di potere?
Non è ancora chiaro chi ci sia dietro, ma vedo un diffuso desiderio di commissariare l’attività più importante che è in mano alle regioni. In molti fingono di non ricordare, ma nel mio caso quell’inchiesta fece cadere una Regione e un governo nazionale democraticamente eletti. Oggi, a giudicare da quanto leggo sui giornali e dalle cadenze di questa campagna mediatica, dico che la vicenda lombarda procede verso un finale già scritto.
Cosa intende dire?
Formigoni ricorda, giustamente, di non essere indagato e di non aver ricevuto avvisi di garanzia. Quello che è accaduto in questi mesi, però, costituisce evidentemente un’attività preparatoria.
Non serve che lo spieghi io a Formigoni, perché è una persona intelligente e lo sa benissimo.
Secondo lei è in arrivo un avviso di garanzia per il Presidente della Regione?
Mi auguro di no. Non voglio che il popolo dei presidenti di regione diventi un popolo di indagati, anche se in questo Paese, ormai tutti i sindaci sono pronti, una volta eletti, a essere indagati per abuso d’ufficio. Detto questo è chiaro che la grande stampa ci sta puntando. Si prepara a dire “noi l’avevamo detto”…
Insiste a coinvolgere la stampa.
Certo, perché questo è uno degli aspetti più grotteschi della giustizia italiana. Qualunque carta nasca da un’inchiesta finisce automaticamente sui giornali. Credo che sia un cortocircuito da denunciare, anche se dire queste cose significa essere accusati di ledere il diritto di informazione e ostacolare l’attività inquirente della magistratura. A mio avviso, comunque, il giudice che conduce le indagini deve essere ritenuto responsabile delle fughe di notizie, perché non conoscono molti giornalisti che scassinano i cassetti delle procure…
Tornando a Formigoni, cosa gli consiglierebbe se venisse indagato?
Non posso consigliargli di fare come me, perché il mio caso è molto diverso e fui obbligato alle dimissioni. Anzi, le dirò di più, fu chiarissimo fin dal principio che se non mi fossi dimesso avrei passato ancora molto tempo dietro le sbarre.
Detto questo, mi auguro che, proprio a partire da Vendola e Formigoni (due casi molto diversi sia per il tipo di accuse, che per la loro storia politica) si ripristini un dettato costituzionale: l’avviso di garanzia non costituisce né una prova, né una condanna. Dopodiché si facciano i processi, e in fretta. Davanti alle condanne nessuno può esimersi dal fare passi indietro.
Certo, non ho molte speranze, perché questo è il Paese nel quale il Parlamento vota l’arresto di un proprio membro anche se poi si scopre che il Tribunale del Riesame giudica quell’arresto illegale, ingiusto e inutile.
Un’ultima cosa, in questi quattro anni cosa l’ha tenuta in piedi?
In realtà non glielo so dire, ho maturato una forza che sta stupendo anche me. Forse sono talmente convinto dell’assurdità delle accuse da non potermi permettere di mollare, anche perché presto la verità sarà chiara a tutti.
Vede, hanno sconfitto Berlusconi, non con la politica, né con i voti in Parlamento, ma con gli scandali. E pensano di replicare questo schema con le amministrazioni locali. Per questo le dico, che di fronte al “burlesque della giustizia” io resto ai posti di combattimento…
(Carlo Melato)