Un bilancio sulla figura di Antonio Di Pietro a venti anni da Mani Pulite. A tracciarlo è Filippo Facci, editorialista del quotidiano Libero, nonché autore del libro “Di Pietro. La storia vera” pubblicato da Mondadori. Una ricostruzione che non lascia nulla per scontato sul protagonista di una stagione giudiziaria che ha segnato indelebilmente la politica italiana. Tutto ha avuto inizio nel 1992 da un ordine di cattura per Mario Chiesa, all’epoca presidente del Pio Albergo Trivulzio, coinvolgendo ben presto i principali partiti italiani. E a distanza di quattro lustri, Di Pietro è ancora il simbolo più o meno appannato di quel giustizialismo che si fece scudo di valori nobili ma non fu esente da una certa forma di spregiudicatezza. Ilsussidiario.net ha chiesto a Facci un giudizio ponderato su quanto è avvenuto da allora ai giorni nostri.

Ritiene che, come magistrato e come politico, Di Pietro abbia realmente i requisiti per ergersi a paladino dell’onestà e della purezza nella vita pubblica?

Chi conosce minimamente la storia di Di Pietro è in grado di rispondere a questa domanda pressoché automaticamente. Da magistrato giurò che non sarebbe mai entrato in politica, e poi lo fece. Sempre da magistrato inquisì tutta una serie di personaggi dei quali poi mirò a prendere il posto. Si ritirò dalla magistratura alla fine del 1994, e solo due anni più tardi fu nominato ministro del governo Prodi. Non c’è stata successivamente una sola inchiesta sia sua sia condotta da altri a qualsiasi livello che non abbia sostenuto, schierandosi dalla parte dei magistrati per partito preso, dando sempre e comunque ragione all’accusa indipendentemente dal fatto che gli esiti delle stesse inchieste fossero poi fallimentari. Non occorre essere berlusconiani per rendersi conto che sul suo grande nemico, appunto il Cavaliere, c’è stata una frenetica attività giudiziaria da parte delle Procure di tutta Italia che Di Pietro ha sempre cercato di sfruttare.

Di Pietro ha dichiarato di recente che Mario Monti ha sulla coscienza gli imprenditori che si suicidano. Che cosa ne pensa di questa affermazione?

Sbattere in faccia a qualcuno, chiunque esso sia, la responsabilità dei suicidi è sempre qualcosa di molto sgradevole. Che sia però proprio Di Pietro ad attribuire a Monti dei suicidi, lascia stupefatti perché è innanzitutto il leader dell’Italia dei Valori che dovrebbe badare all’incredibile numero di suicidi che ci fu in Italia dal 1992 al 1994, suicidi appunto giudiziari legati a tutto il periodo che Di Pietro personificò, e che superarono spaventosamente la media delle persone che mediamente si tolgono la vita per un procedimento giudiziario.

 

Quante delle inchieste aperte da Di Pietro nella stagione di Mani Pulite sono approdate a una condanna definitiva?

 

L’inchiesta Mani Pulite è stata ricondotta a un fascicolo unico, e quindi non si riesce a distinguere tra un filone e l’altro. La stessa Procura di Milano aveva l’abitudine di inquisire dei personaggi, demandando poi ad altre Procure la competenza territoriale, magari dopo che si era scoperto che erano innocenti o che non collaboravano. Sono quindi nominativi che non rientrano nelle statistiche ufficiali di Mani Pulite, ed è per questo molto complicato rispondere alla sua domanda. La percentuale di assolti per Mani Pulite è comunque decisamente rilevante, e non soltanto per prescrizione o per insufficienza di prove, ma proprio per innocenza conclamata o per non avere commesso il fatto.

 

L’Italia dei Valori all’interno della sua gestione rispecchia realmente quell’idea di trasparenza di cui si fa paladina?

 

Il funzionamento interno dell’Italia dei Valori è tutto un altro discorso, perché è il partito che in assoluto fin dalla sua triplice fondazione rispecchia di più il modello di organizzazione coreano, del tutto privo di democrazia interna. Di Pietro accusa i tesorieri degli altri partiti di incamerare finanziamenti pubblici che a suo dire dovrebbero rifiutare. Ma lo stesso ex pm, completamente da solo, attraverso un complicato meccanismo fondato su una società privata di cui si è messo a capo con nomina a vita, ha continuato sempre e regolarmente a incamerare finanziamenti pubblici dei quali lui ha disposto in maniera assolutamente personale. Nell’aprile 2009 il Parlamento Europeo ha confermato l’immunità parlamentare a vantaggio di Di Pietro, per la causa per diffamazione intentata dal giudice Filippo Verde.

 

Per quale motivo l’ex pm di Mani Pulite non ha rinunciato all’immunità?

Di Pietro ha fondato buona parte dell’inchiesta di Mani Pulite sull’indignazione che ci fu allora proprio sull’autodifesa parlamentare che si concretizzava attraverso la mancata autorizzazione a procedere nei confronti di alcuni deputati o senatori. Si è quindi ritrovato a subire la causa per diffamazione che, come è stato dimostrato, lo avrebbe sicuramente visto perdente in quanto lui stesso ha ammesso di avere commesso un errore. In sostanza attribuì a Filippo Verde dei fatti diffamatori, confondendolo però con un altro personaggio. Un errore però del quale il leader dell’Italia dei Valori non ha mai voluto pagare pegno e che soprattutto non c’entra nulla con la libertà d’espressione che normalmente si usa per respingere le richieste di autorizzazione a procedere. Lo stesso De Magistris ha evitato numerose cause per diffamazione usando lo scudo dell’immunità europarlamentare.

 

Lei ha citato Luigi De Magistris, che a gennaio è stato rinviato a giudizio per abuso d’ufficio nell’inchiesta Why not. Ritiene che avrebbe dovuto dimettersi da sindaco?

 

La questione delle sue dimissioni in realtà non si è neppure posta. La questione si è posta perché sia De Magistris sia di Pietro hanno portato avanti una battaglia affinché gli inquisiti non fossero candidabili. Tre giorni prima dell’annuncio della sua candidatura come sindaco di Napoli, De Magistris è risultato inquisito a Roma. In una forma o nell’altra De Magistris è inquisito da anni, anche per diffamazione, e tuttavia ogni volta si è difeso rivendicando la libertà delle sue opinioni politiche, che non hanno niente a che vedere con le ragioni per cui lui era stato chiamato in causa con la richiesta di processarlo.

 

Le inchieste in grande stile di De Magistris quando ancora era pm sono approdate in un nulla di fatto. Si trattava di teoremi infondati?

 

Il caso De Magistris è unico per la maniera maldestra, malfatta e letteralmente imbarazzante con cui le sue inchieste sono state condotte. E’ questa la ragione per cui si sono rivelate completamente fallaci, fragili e senza nessuna speranza di arrivare a giudizio, lasciando stupefatti gli stessi giudici. Le opinioni espresse via via dai vari livelli della magistratura, non da ultimo dallo stesso Csm quando rifiutò a De Magistris la nomina a giudice di Corte d’Appello, fanno emergere un giudizio è letteralmente imbarazzato per il modo in cui si accorge che quest’uomo ha indagato sul nulla e ha condotto delle inchieste badando esclusivamente alla risonanza di coloro che chiamava in causa. Nelle inchieste di De Magistris non c’era quindi nessun fondamento se non la ricerca di una grande eco mediatica.

 

(Pietro Vernizzi)