Caro direttore,

sono uno studente di Scienze Politiche e, in quanto tale, non posso non essere direttamente interessato da quanto sta succedendo in questi giorni, in cui tanto si sta parlando di questa fantomatica “antipolitica”. Che cos’è dunque l’antipolitica? A mio avviso, nient’altro che una forma diversa di politica, più ideologica e violenta, e quindi ancora meno efficace. Il rifiuto della politica, che oggi va tanto di moda, non è niente di nuovo, c’è già stato e ci sarà sempre, ma l’importante è non farsi trascinare emotivamente, perche, ragionando, emergono interessanti spunti che capovolgono la situazione, chiarendo come l’importante non sia non fare più politica (è impossibile), ma farla in modo certamente diverso.



Tutto questo risentimento verso l’arte di occuparsi della res publica nasce da un mix di condizioni che, presentatesi contemporaneamente in modo più o (soprattutto) meno casuale, hanno portato alla caduta dei classici governi politici a favore di un governo tecnico, almeno in linea teorica. È interessante però, prendendo le mosse da ciò che afferma Domenico Fisichella, notare che la tecnocrazia è per sua natura fallace.



Innanzitutto per le sue premesse, che imputano ai politici le accuse di incompetenza, particolarismo degli interessi e corruzione. Già queste tre premesse sono false: la prima, che preferirebbe che il tecnocrate, per la sua competenza, decidesse non solo i mezzi dell’agire politico ma anche i fini, è destinata a cadere davanti alla semplice obiezione che non basta la competenza a decidere sui fini, in quanto questi “chiamano in causa opzioni di valori, scelte di civiltà, persino considerazioni metafisiche, e in definitiva passioni positive e negative”; alla seconda, che riguarda il problema del particolarismo degli interessi, accusando il politico di cedere al loro fascino giustificandoli con l’ideologia, basta obiettare la semplice domanda: “si può immaginare una competenza cosi asettica da sfuggire a ogni condizionamento dell’interesse?”, che prevede retoricamente una risposta negativa; la terza e ultima, che imputa l’appellativo di “corrotti” ai politici, non tiene in considerazione, irragionevolmente, il fatto che la corruzione non appartiene al politico in quanto tale, ma “piuttosto all’essenza della natura umana, mentre semmai è questione politica la capacità o meno di identificare ed edificare sistemi istituzionali in grado di ridurre e limitare gli spazi e le opportunità della corruzione”.



Tralasciando l’analisi interessantissima che il Fisichella fa su come la tecnocrazia sarebbe incapace di gestire il potere in modo non politico, è meraviglioso come egli la stronchi sul suo punto forte, il centro della sua ideologia: il monismo oggettivistico e il rifiuto del pluralismo ideologico in nome della scientificità. 

Ebbene, proprio la scienza, come Fisichella evince dagli scritti di Popper e Kuhn, ha come essenza l’essere “realtà aperta alla falsificabilità…: in questo senso, la scienza richiama a una pluralità di ipotesi e teorie da sottoporre a controllo empirico, ed è semmai nel suo probabilismo ben più pluralistica che monistica. Ecco perché, pur predicando il tramonto delle ideologie, la dottrina tecnocratica è essa stessa una ideologia. Presume una visione della scienza e della società non meno parziale e settoriale di quelle che vuol combattere”.

Per concludere, emerge come la tecnocrazia, che si basa sull’antipolitica, viene a cadere proprio nel momento in cui pretende di poter fare a meno della politica. 
Al contrario, “è sempre la politica che dà ordine, dà ordinamento, fissa le regole dell’organizzazione delle sintesi e si occupa del rispetto delle regole stesse”. Non considerare questo semplice ma imprescindibile aspetto, sarebbe il primo passo verso una crisi ancora più grave di quella che già ci sta mettendo in difficoltà. 

In questo senso tutti, dai tanto acclamati giovani ai più vituperati vecchi, non dobbiamo odiare la politica, ma incoraggiarla, essendo essa imprescindibile nella gestione della società. Il che non vuol dire però gettarsi nella mischia con improvvisate liste civiche e frettolosi sostegni elettorali, ma ridare valore al suo compito principale che, come afferma s. Tommaso d’Aquino, è il bene comune, obiettivo della tendenza associativa che pertiene l’essenza umana e sta alla base della politica.  

(Giovanni Gazzoli)