Meglio “Fratelli d’Italia”, che con l’acronimo FI può scaldare i cuori agli azzurri più nostalgici, o “Italia Forza Nazionale” che piace più all’ala destra del Pdl? Oppure un sobrio “Moderati” o, ancora, “Italia libera”, per richiamare lo «spirito liberale post-bellico di questo Paese»? Nel Popolo della Libertà la caccia al nome si è aperta, nell’attesa di scoprire quale sia la «novità epocale» annunciata dal segretario Angelino Alfano. «Cosa diventerà questo partito è ancora un mistero – confida a IlSussidiario.net il direttore de Il Foglio, che qualche mese fa aveva lanciato la proposta di un cartello di larghe intese all’insegna del motto “Tutti per l’Italia” –. È comunque evidente che il suo problema non è come si chiamerà, ma la prospettiva per la quale si metterà al servizio. A mio avviso la più credibile è quella di creare un soggetto riformatore, conservatore e liberale che aiuti a non disperdere, dopo il 2013, il senso di una convergenza tra tecnica e politica per risolvere i problemi del Paese».
Ha ancora in mente la Grande Coalizione?



Vede, a mio avviso, sia a partire da una posizione di forza se vincesse le elezioni, sia nelle vesti di una dignitosa opposizione qualora le perdesse, il Pdl dovrebbe favorire un governo di responsabilità nazionale che realizzi un programma di riforme e di cambiamento e che collabori a un’uscita europea dalla crisi del debito pubblico e della mancata crescita.
Stiamo infatti parlando di sfide strutturali, che riguardano lo sforzo di una generazione. Dedicarci un annetto di governo tecnico per poi ricominciare da capo è da irresponsabili. Per completare l’opera servirebbe un governo d’eccezione che duri almeno 4 anni.



Il nuovo Pdl dovrà quindi ancorarsi a Monti, come sta facendo Pier Ferdinando Casini?

Il Professore continua a dire che la sua rimarrà una parentesi e devo dire che mi sembra sincero. A prescindere da ciò che sceglierà di fare è comunque molto probabile che arriveremo alla scadenza della legislatura senza una legge elettorale diversa, senza nuove regole istituzionali e con due vecchie formazioni politiche reduci da un fallimento. Una perché non ha saputo governare, l’altra perché non ha saputo costruire un’alternativa.
Se, come auspica il Gruppo Repubblica, queste due forze torneranno a darsele di santa ragione ne andrà di mezzo il futuro del Paese e la democrazia stessa. Spero invece che l’Italia cambi pelle attraverso uno sforzo collettivo perché la vendetta restauratrice della sinistra o la riscossa della destra sono entrambe prospettive poco attraenti.



Non c’è però il rischio che la politica, oggi ai massimi livelli di discredito, risulti ancora più “inutile” agli occhi degli elettori?  

Guardi, i tecnici si sono comportati con grande serietà istituzionale e non hanno approfittato della situazione per costruire un consenso proprio, a spese dei partiti. Avranno certamente fatto degli errori su cui  si può esprimere anche fiera avversione, come fa il mio amico Piero Ostellino, ma non si può imputare loro la perdita di credibilità della classe politica. 
Detto questo, i partiti possono ancora riguadagnarsi la fiducia degli italiani, ma non possono illudersi di farlo ridando vita alla “guerra santa” tra berlusconiani e antiberlusconiani, che in questo Paese è durata 17 anni. L’unica possibilità che hanno è quella di costruire una legittimazione politica più ampia possibile per continuare questa esperienza di collaborazione.

Basterà questo per far uscire la classe politica dall’assedio a cui è sottoposta, anche a causa delle sue gravi mancanze?

Se si riferisce alle inchieste, che di questi tempi non mancano, in sé sono un fatto normale. La cosa abnorme è che in questo Paese attorno ad esse si costruiscono romanzi mediatico-giudiziari quotidiani, fatti di documenti e di intercettazioni diffuse illegalmente, piuttosto disgustosi. Di conseguenza si assiste a un ribaltamento di tutte le gerarchie di importanza alle quali si attengono i Paesi più civili del nostro. 
Al primo posto bisognerebbe tornare a mettere il lavoro, la competitività delle imprese, la concorrenza, l’educazione e il rilancio della cultura, non gli sprechi della Casta, che comunque è giusto continuare a segnalare.  

Non vede quindi il pericolo che sulla scena la politica resti sullo sfondo, lasciando in primo piano soltanto i tecnici e i nuovi profeti dell’anti-politica?  

Da un certo punto di vista è così, dall’altro non credo che il pericolo sia reale. I tecnici faranno quello per cui sono stati chiamati e poi se ne andranno, con l’eccezione di qualcuno che spero possa restare a dare il suo contributo. Per il resto, noi italiani siamo un popolo di tifosi e di fischiatori. In questa fase, anche grazie alla cassa di risonanza della stampa, ci sembra quasi che Beppe Grillo possa diventare Presidente del Consiglio. Il realtà si toglierà soltanto delle soddisfazioni da Curva Sud. D’altra parte, l’antipolitica è interessante quando serve a fare politica, non quando diventa puro onanismo oratorio.

Cosa intende dire? 

L’unica vera riforma della politica, di tipo antipolitico, è stata quella introdotta da Silvio Berlusconi, che riuscì a costituzionalizzare una minoranza agitatrice e impresentabile, l’Msi, e un movimento separatista, la Lega Nord. Questi due miracoli politici hanno portato il centrodestra a essere, se non quello di Quintino Sella, una coalizione almeno accettabile. Al confronto l’antipolitica di Beppe Grillo è solo un disco rotto di canzoni già sentite…

(Carlo Melato)