Mentre all’interno del partito impazza il toto nome per il nuovo Pdl, dai falchi finiani arriva una prima apertura. «Se Berlusconi rinuncia a qualsiasi ruolo – dice infatti Italo Bocchino, protagonista delle polemiche più aspre che portarono alla scissione futurista – e spinge il Pdl a diventare un nuovo soggetto politico pronto a dar vita a una coalizione di moderati con una leadership plurale che comprende Alfano, Casini e Fini, potrebbe essere un percorso su cui discutere». Che si chiami “Fratelli d’Italia”, “Italia Forza Nazionale” o “Partito dei Moderati”, quindi, il problema di questa forza politica diventa cosa vuole essere e in funzione di quale prospettiva. «A mio avviso – dice a IlSussidiario.net Marcello Veneziani, intellettuale d’area –, il tentativo del Popolo della Libertà di essere la “casa madre” e il partito unico della coalizione è legittimo. Quando però ci si accorge che non si riesce a imbarcare Casini e che ci sono ancora fette di un’opinione pubblica di destra non espressa al suo interno, forse è meglio pensare a strutture diverse, allargando l’offerta politica piuttosto che restringerla».

Secondo lei la fusione tra Alleanza Nazionale e Forza Italia non è riuscita?

Direi di no, anche se ha avuto senso fino a quando c’era la leadership di Silvio Berlusconi. Oggi non si vede una grande frenesia dei dirigenti di An nel volersi mettere in proprio, ma come dimostra anche il voto francese, esiste un’area importante che esprime istanze nazionali e popolari, che critica i poteri economici e finanziari e che può essere intercettata.



Il centrodestra deve tornare a ciò che era prima del predellino?

Bisogna passare da un bipartitismo impraticabile a un bipolarismo nel quale il centrodestra sia composto da tre soggetti: uno cattolico popolare, uno liberal popolare e uno di destra popolare. Il tratto comune deve essere quindi quello popolare, ma con accentuazioni diverse. Credo che questa sia l’unica strada praticabile.



E come stanno le cose a destra in questo momento? Come si ricostruisce quella comunità oggi dispersa in mille rivoli?

In Italia c’è una presenza rianimata dall’esempio francese e dall’individuazione nel potere tecnocratico del proprio avversario, ma non c’è più un leader. Credo che l’unica soluzione possa consistere nel creare un gruppo all’interno del quale scegliere un primus inter pares, magari un giovane che non sia un ex colonnello di Fini.

Futuro e libertà secondo lei si è autoesclusa da questo discorso?

Credo che, almeno per una parte di loro, ci possa essere un ripensamento. D’altronde, si entrerebbe in una fase nuova, svincolata dal berlusconismo. Di conseguenza ci sarebbe anche una buona giustificazione culturale e politica per fare questo passo. 
Per quanto riguarda Gianfranco Fini, invece, il discorso è più complicato. Ad oggi mi sembra incompatibile con qualunque soggetto di destra. 



Prima ha parlato delle elezioni in Francia. In che senso possono essere un riferimento positivo?

A mio avviso i voti presi da Marine Le Pen sono un segnale positivo, anche se la risposta politica non è adeguata. In Europa esiste una fetta cospicua del Paese che non ci sta a vivere subordinata alle banche centrali, alla Merkel e ai poteri transnazionali rinunciando a beni primari irrinunciabili come la casa, il lavoro e la sovranità. 
Il punto debole del caso francese è che l’elettorato di Sarkozy non si compone con quello di Le Pen. La scommessa italiana deve essere proprio quella di comporli mantenendo identità diverse in una stessa coalizione. 

Mettendo dei limiti a destra?

I soggetti da lasciar fuori si escludono da soli e non vedo frange di turbolenza significative. Il Pdl ha convissuto per anni con un partito secessionista, figuriamoci se non è compatibile a una destra nazionale. 

Tornando alla sua premessa, la riappacificazione tra Udc e Pdl è da considerarsi del tutto improbabile? 

Non è detto, se Berlusconi dovesse garantire a Casini che non sarà più il leader e che lui potrà giocarsela con Alfano, questo potrà anche accadere. Piuttosto che diventare l’ago della bilancia che favorisca un governo di centrosinistra, sono infatti convinto che al leader dei centristi convenga giocarsi la sua partita nel centrodestra, accordandosi con chi c’è. 

Da ultimo, secondo lei il Pdl si metterà a disposizione di una Grande Coalizione, come propone Giuliano Ferrara, o sarà dal 2013 all’opposizione della tecnocrazia europea? 

Io propendo per lo “strappo”, ma mi rendo conto del necessario realismo che in politica deve esserci sempre. Se dovessi dare un consiglio al Pdl comunque direi che chiudere l’esperienza Monti nel 2013 dovrebbe essere un punto fermo. Sul Professore secondo me non ci scommette nemmeno Casini… 

(Carlo Melato)