I connotati sostanziali delle nuova legge elettorale sono stati definiti dall’intesa raggiunta da Pdl, Pd e Udc; tra i principi fondamentali che la ridisegneranno, si prevede la rimozione del vincolo di coalizione, l’indicazione del premier, una soglia di sbarramento più elevata. Sul fronte dell’architettura costituzionale, si diminuirà il numero dei parlamentari, si supererà il bicameralismo perfetto e al premier saranno attribuiti maggiori poteri. Il tutto, in salsa proporzionale. Il che, assieme alla «truffaldina» sfiducia costruttiva, secondo Angelo Panebianco, renderà il sistema ingestibile, destinato a dare all’Italia governi deboli e di breve durata. Per l’editorialista del Corriere ella Sera, inoltre, archiviare il bipolarismo sottrarrà agli elettori la possibilità di esercitare il «potere che la democrazia affida loro: quello di cacciare il governo che li ha delusi, mettendo al suo posto l’opposizione». Interpellato da ilSussidiario.net, Claudio Martelli, ex ministro socialista della Giustizia, fa presente che «non è detto che il suo schema elettorale rappresenti una garanzia di stabilità o di buon governo». Il perché è presto detto: «Se guardiamo agli ultimi 10 anni della Prima Repubblica, scopriamo che, dopo due governi Craxi, ci fu una rapida parentesi costituita dai governi Fanfani, Goria e De Mita e, in seguito, si insediarono nuovamente due governi Andreotti. Siamo nella media, in sostanza, della Seconda Repubblica».
La Prima Repubblica non è formata solamente dai suoi ultimi dieci anni. «Certo – continua –, se andiamo indietro nel tempo riscontriamo situazioni diverse e lunghi periodi di instabilità. Tuttavia, vi furono anche governi di lunga durata, come alcuni retti da De Gasperi o da Aldo Moro». Questo vuol dire solo una cosa: «empiricamente quanto dice Panebianco non ha riscontro nella realtà. In entrambi i casi, vi furono periodi di instabilità e periodi virtuosi». Detto ciò, «personalmente, anch’io sono maggiormente favorevole a un governo presidenziale e a un sistema maggioritario. Purché si badi a un concetto, in Italia prevalentemente ignorato. Ovvero, non si può tenere in capo alle stesse persone la funzione di governo e quella parlamentare. Il potere esecutivo non deve essere esercitato direttamente dal Parlamento. Si tratta di uno dei principali elementi di confusione italiani. Sarebbe, quindi, opportuno che, per lo meno, vi fosse tra i due ruoli incompatibilità e l’obbligo per un parlamentare nominato ministro di dimettersi». In caso contrario, si determinano le anomalie tipiche del nostro sistema: «il ministro proietta il dovere della rappresentanza – quindi, la partigianeria – sul governo». In ogni caso, il giudizio di fondo sull’accordo tra Alfano, Bersani e Casini è tutt’altro che benevolo. «Non ci sono cambiamenti significativi. E’ una palliativo del sistema precedente, che era pessimo, con modifiche che non danno più potere ai cittadini; valuto positivamente solamente il fatto che si dia più potere al premier, almeno in apparenza, e si tolga l’attuale premio di maggioranza che sovrarappresenta il partito vincente in maniera inaccettabile». Secondo Martelli, la riforma, per avvantaggiare realmente il Paese, dovrebbe contemplare, almeno, una serie misure: «Credo che si dovrebbe eleggere direttamente il presidente della Repubblica, attribuendogli poteri di governo, mentre il Parlamento dovrebbe esercitare il controllo sull’esecutivo e su tutte le amministrazioni pubbliche».
L’indicazione diretta del presidente, secondo Martelli, renderebbe, di fatto, il sistema maggioritario. «Ogni sistema presidenziale, tendenzialmente, è duale; si tramuta, cioè, in una sfida tra i due candidati che hanno maggiori chance. La stesso sistema andrebbe applicato all’elezione del Parlamento, per evitare di avere deputati e senatori nominati dai partiti e un “unto dal Signore” nominato dal popolo. Questo creerebbe una sproporzione esagerata». Da questo punto di vista, «credo che sarebbe sufficiente – conclude – un sistema uninominale basato sulle primarie».