Come annunciato alla vigilia, l’accordo sulla riforma del lavoro è stato raggiunto. L’incontro di mercoledì notte tra il premier e i leader dei partiti di maggioranza, l’azione del Quirinale, e il pressing di Monti sul ministro Fornero hanno infatti portato al compromesso illustrato ieri sera dal governo in conferenza stampa. Sull’art. 18 passa quindi il “lodo Bersani”: in caso di licenziamento per motivi economici il giudice potrà ordinare il reintegro (ipotesi esclusa in un primo momento) o un indennizzo da 12 a 24 mensilità. «Spettava al Presidente del Consiglio guidare il processo per raggiungere un’intesa – spiega Stefano Folli a IlSussidiario.net –. Monti lo ha fatto. Il compromesso è stato raggiunto, anche se si inizia a notare un certo nervosismo da parte delle imprese, che andrà valutato quando sarà possibile analizzare il testo. Dal punto di vista politico mi sembra invece evidente la volontà dei partiti di voltare pagina, levando di mezzo le tensioni di questi mesi».
A livello parlamentare non dovrebbero esserci quindi degli intoppi?
Ho l’impressione che, nel complesso, le tre forze maggiori abbiano tutto l’interesse ad approvare la riforma sulla base del compromesso raggiunto. Il che non significa che i partiti si limiteranno a pigiare dei bottoni in Parlamento. Antonio Di Pietro, ad esempio, ha voluto incendiare gli animi ieri. E non possiamo escludere che la dialettica possa attraversare, anche se solo in parte, la maggioranza.
Dal punto di vista sociale, invece, che reazioni si aspetta?
Non credo che la Cgil possa essere contenta. Ci sarà sicuramente disagio e malcontento, anche se escluderei un’opposizione barricadiera da parte dei sindacati. Gli angoli più pericolosi sono stati smussati, come dimostra il giudizio molto positivo dato sulla riforma da un esponente della sinistra Pd come Cesare Damiano.
Monti ieri ha sottolineato che questo è il quarto passaggio cruciale del governo dopo il consolidamento di bilancio, le pensioni e le liberalizzazioni. A questo punto quale dovrà essere il prossimo obiettivo?
Basta leggere quanto scrive il Financial Times, che ha sempre sostenuto Monti: le manovre di austerità sono state necessarie per mettere in sicurezza i conti pubblici, ma rischiano di ammazzare l’economia italiana. E un‘economia in caduta libera potrebbe rendere necessari ulteriori correttivi, anche se il governo ha smentito la possibilità di nuove manovre. Abbiamo bisogno di crescita, bisogna ridare slancio all’economia, tagliando la spesa improduttiva e magari iniziando a pagare alle imprese i crediti accumulati in questi anni.
A livello politico, la crisi della Lega Nord e i toni usati ieri dal leader dell’Idv tendono a compattare la maggioranza al centro?
Direi di sì, anche se dipenderà soprattutto dalla riforma elettorale. La crisi del partito di Bossi, a mio avviso profondissima, può aiutare il Pdl a recuperare consensi nell’elettorato che sta al confine, ma la prospettiva strategica del Popolo della Libertà resta quella di ancorarsi all’area moderata.
Se tendere al centro per il Pdl è però un fatto naturale, per il Pd le cose stanno diversamente.
Cosa intende dire?
Di Pietro sarà anche una spina nel fianco per il Pd, ma per i democratici è difficile non cercare punti di contatto con le forze che stanno alla sua sinistra, a maggior ragione in una situazione di recessione e disoccupazione.
E per quanto riguarda Umberto Bossi, secondo lei siamo all’epilogo della sua avventura politica?
Penso proprio di sì. La Lega potrà rinascere soltanto se avrà il coraggio di rifondarsi completamente con nuovo gruppo dirigente e nuove prospettive, abbandonando fantasie secessioniste e ancorandosi alla buona amministrazione e alla serietà dei comportamenti.
E potrà farla Maroni questa rifondazione?
Ho molta stima di Maroni, che è stato tra l’altro un ottimo ministro. Il fatto di aver condiviso in questi anni la gestione del partito però, a mio avviso, lo indebolisce. Anche lui infatti è parte di quel gruppo dirigente che adesso è sotto accusa.
(Carlo Melato)