Ricapitolando, stante l’attuale accordo tra Pdl, Pd e Udc, la prossima legge elettorale dovrebbe essere connotata da: sistema proporzionale, innalzamento della soglia di sbarramento, rimozione del vincolo di coalizione. Contestualmente, la riforma costituzionale annessa prevede: indicazione del premier e rafforzamento dei suoi poteri, riduzione del numero di Parlamentari (500 alla Camera, 250 al Senato) e superamento del bicameralismo perfetto. Ora: poniamo di applicare i risultati delle scorse elezioni (2008) a un sistema del genere. Secondo Renato Mannheimer, presidente dell’Ispo, ipotizzando uno sbarramento del 4%, il Pdl sarebbe il perno del sistema, e potrebbe governare da solo con la Lega. Con una soglia del 5%, invece, l’Idv sarebbe fuori e, se si introducesse un premio di maggioranza, il Pdl potrebbe scegliere se allearsi con la Lega o l’Udc. Il margine di vantaggio sarebbe ridotto se si conferisse un premio anche al secondo partito, il Pd. Non si potrebbe escludere, infine, la grande coalizione. E se il sistema fosse applicato alle effettive intenzioni di voto degli elettori?  È lo stesso Renato Mannheimer a spiegare a IlSussidiario.net cosa potrebbe accadere. «Ora, Berlusconi, non prenderebbe più tutti quei voti. Sappiamo, infatti, che il Pd è in testa». L’impressione è che la legge derivante dall’accordo tra le forze maggiori potrebbe essere definita sulla base della volontà di far fuori le ali estreme. «Quale sia la loro volontà, andrebbe chiesto ai diretti interessati. Ciò che è certo è che, effettivamente, i partiti minori rischierebbero di non entrare in Parlamento. Si darebbe luogo, quindi, ad una riedizione della grande coalizione». La scenario, tuttavia, è attualmente del tutto imprevedibile: «i sondaggi a disposizione scontano il fatto che il 50 per cento dei cittadini non risponde. Anche in passato è capitato di aver a che fare con quote alte di persone che non si esprimevano. Ma mai alta come in questo caso. La gente, infatti, è stufa dei partiti, non sa chi votare – anche se, beninteso, alla fine voterà lo stesso – ed è delusa». La delusione potrebbe assumere le fattezze della semplice neutralità. O della predilezione per Mario Monti e di un governo guidato da lui, dato che nell’immaginario collettivo è considerato alieno alla prassi politica. «Probabilmente, in effetti, la delusione potrebbe tradursi in una preferenza per l’attuale premier. Tuttavia, nei nostri sondaggi non abbiamo inserito una domanda relativa al suo partito per il semplice fatto che, attualmente, il suo partito non esiste. Sta di fatto che, almeno a metà della popolazione, il suo esecutivo piace». Non è difficile intuire perché sia montato un tale sentimento di antipolitica. «Nasce dall’avversione e dalla delusione per il comportamento dei partiti». Curiosamente, non ce n’è uno inviso ai cittadini più degli altri. Sarebbe, infatti, ragionevole, secondo la consuetudine, che i partiti che negli scorsi anni sono stati al governo, fossero disprezzati maggiormente rispetto a quelli che sono stati all’opposizione. «La differenza non è così sensibile come ci si potrebbe aspettare. Tant’è vero che in questi mesi né la Lega né l’Italia dei Valori hanno visto crescere significativamente i propri consensi».  



Per il momento, quindi, l’unica certezza è l’indeterminatezza del futuro assetto politico. «Tutte le carte in tavola potrebbero scompaginarsi. C’è un grande mercato di insoddisfatti che si cercherà di intercettare». Alcuni sostengono che i partiti, come li conosciamo attualmente, potrebbero non esistere più, frantumarsi e ricomporsi in architetture inedite. Molte delle formazioni attuali non avrebbero più senso né interesse a esistere, ne i suoi esponenti a rimanere in esse. I liberali e i cattolici ex Forza Italia, gli ex Popolari e i riformisti del Pd, ad esempio, potrebbero tranquillamente confluire in un grande centro. «E’ possibile».



(Paolo Nessi)

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