Ieri Umberto Bossi si è dimesso da segretario della Lega Nord. La notizia, fino a pochi giorni fa inimmaginabile, era nell’aria da mercoledì sera. Al suo posto il consiglio federale del partito ha istituito un triumvirato composto da Roberto Calderoli, Roberto Maroni ed Emanuela Dal Lago, in attesa del prossimo congresso.
«Una decisione inevitabile e forse tardiva – commenta Antonio Polito, intervistato da IlSussidiario.net –. La posizione di Bossi infatti non era più sostenibile se si considera quello che sta uscendo dalle indagini sul tesoriere, Francesco Belsito. Ad ogni modo si chiude così una lunga agonia politica. Erano anni infatti che il Carroccio aveva smarrito personalità e mordente, assieme al suo leader. E questo nel tempo ha lacerato il partito».



Si chiude una stagione politica lunga vent’anni?

Possiamo dire che si chiude qui la Seconda Repubblica, anche simbolicamente. Nel giro di pochi mesi infatti sono usciti di scena Berlusconi, Bossi ed Emilio Fede. Parlo anche dell’ex direttore del Tg4 perché queste figure  rappresentano l’ascesa al potere di una classe politica sull’onda di Tangentopoli.
Certo, il movimento leghista esisteva già da prima, ma è fuori discussione che sia esploso con Mani Pulite, così come è evidente che è stato Berlusconi a raccogliere l’eredità dei partiti distrutti da quella campagna giudiziaria. La parabola di Bossi, iniziata issando il cappio contro Roma Ladrona e finita in uno scandalo finanziario, completa quindi la plastica immagine di un cambio di stagione.



Secondo lei com’è stata gestita questa crisi dal partito?

La Lega Nord è sempre stata opaca quando si è trattato di prendere decisioni. Mai un dibattito aperto o una conferenza stampa, tant’è che gli studiosi del Carroccio, un po’ come i criminologi, hanno sempre dovuto leggere gli indizi dall’esterno. 
La scelta di passare il testimone a un terzetto di questo tipo dà comunque l’idea di un caro prezzo che Maroni ha dovuto pagare, forse in cambio della successione al Grande Capo.

Cosa intende dire?

La presenza di Calderoli serve evidentemente a bilanciare l’ex ministro dell’Interno che a questo punto non potrà abbandonare al proprio destino giudiziario e politico il cosiddetto “cerchio magico”, che comunque resta sotto l’ala protettiva di Umberto Bossi.



E qui veniamo alla scelta del consiglio federale di accettare le sue dimissioni da segretario, eleggendolo però presidente. 

Vede, in questa soluzione c’è tutta l’ambiguità di un gruppo dirigente che aspira a prendere il posto del fondatore, ma che non può rinunciare a tenere accesa la fiammella dell’unità del partito, nella speranza di trascinare con sé quella parte del movimento che crede ancora nella sacralità del leader.
In un partito “normale” chi lascia dovrebbe uscire di scena. Evidentemente nei partiti italiani, quasi tutti leaderistici e di recente formazione, non si può cambiare il capo senza però dovergli creare un piccolo trono su cui sedersi. 

Dai suoi giudizi sembra che il rinnovamento che si appresta a fare Maroni non sarà comunque una cosa semplice. 

Devo ammettere che ho i miei dubbi. Innanzitutto promuovere Calderoli, che è interessato da questa inchiesta e che aveva Belsito come sottosegretario mentre era ministro, mi sembra una decisione molto lontana da un desiderio di rinnovamento. In secondo luogo, Roberto Maroni è stato troppo vicino a questo tipo di gestione e non ha mai avuto il coraggio di condurre una battaglia in campo aperto. Da ministro degli Interni, poi, credo che avesse tutti gli strumenti per sapere chi fosse Francesco Belsito o cosa combinasse di notte il Trota. Infine c’è un grave problema di linea politica. 

In che senso?

Negli anni la Lega ha saputo trasformarsi in una forza di governo. Da ciò che dice Maroni però il suo progetto è quello di far tornare il Carroccio alle origini, all’opposizione, senza più alleati. In questo modo però, oltre a perdere le amministrazioni locali, l’unica linfa che garantisce potere e radicamento, il movimento tornerebbe a essere l’espressione di una rabbia nordista senza la possibilità di imporre la propria agenda politica.  

Quale sarà l’impatto di questo scandalo sulla Lega Nord, a un mese dalle amministrative? 

Per prima cosa, c’è chi ha parlato di un’inchiesta a orologeria nei confronti dell’unico partito di opposizione. Io credo invece alla ricostruzione del Corriere, secondo la quale sarebbero stati tre deputati leghisti ad aver segnalato delle irregolarità di bilancio alla magistratura. 
Detto questo, non credo nemmeno che l’effetto negativo maggiore si vedrà alle amministrative, dove dovrebbe comunque prevalere il giudizio sul candidato. Tra l’altro è proprio nei comuni che i leghisti schierano una classe politica all’opposizione di quel sistema di interessi che sta emergendo dalle indagini. Il conto salato arriverà dopo.

Alle politiche?

Direi di sì. Come dicevo, la Lega Nord rischia l’“inutilità” politica e i movimenti inutili non sono destinati a scomparire di colpo, ma a perdersi pian piano per strada. 
E sarebbe un peccato, perché comunque stiamo parlando del partito più radicale e innovativo che la politica italiana abbia avuto negli ultimi trent’anni.

(Carlo Melato)

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