“Di Pietro choc” titola il Corriere della Sera, a pagina 25 (meglio nasconderle alcune cose) e “La Repubblica” riserva un timido carattere di taglio basso a pagina quattro “Di Pietro: Monti sulla crisi mente ha sulla coscienza suicidi”. L’ex “Nembo Kid” dei sostituti procuratori della Repubblica, il grande “esecutore” dell’inchiesta di “Mani pulite” e di Tangentopoli ha scoperto dopo venti anni la tragedia dei suicidi. Si potrebbe commentare, meglio tardi che mai!
Il presidente del Consiglio Mario Monti, scambiando Di Pietro per un gentleman del “Reform Club”, ha preferito non rispondere. Forse ci sarà qualcun altro a farlo. E’ tuttavia singolare che proprio il leader dell’Italia dei Valori faccia una simile “sparata” in Parlamento.
La sequenza dei sucidi per motivi di carattere economico è angosciosa e crea sgomento. Chi lo fa, è preso da disperazione, da vuoto e da solitudine. E’ effettivamente stupefacente che di fronte a questa catena infernale, che dura da mesi, non ci sia un’attenzione maggiore da parte politica e anche da parte mediatica. Non c’è che una lontana comprensione. Ma non esistono suicidi di “serie A” e di “serie B”. Nessuno con un atto simile riscatta un fallimento o un errore. Semplicemente rinuncia all’unica cosa che conta, che è quella innanzitutto di vivere.
Eppure circa venti anni fa, qualche suicidio nell’epoca di Tangentopoli portò un alto magistrato a dire che un suicidio significava quasi una specie di riscatto morale. Ma allora erano altri tempi e i suicidi potevano essere considerati di “serie B”.
Sergio Moroni, ad esempio, deputato, esponente del Psi di primo piano, incappato nell’inchiesta di “Mani pulite”, dopo aver visto come venivano trattati a scuola i suoi figli, si mise a scrivere una lunga lettera all’allora presidente della Camera, Giorgio Napolitano. Poi prese il suo fucile da caccia e si sparò in gola, per la disperazione, di fronte a quelli che erano ancora avvisi di garanzia. In uno stesso giorno a Milano, ci fu una sequenza tragica.



Il 23 luglio del 1993, nel suo appartamento di piazzetta Belgioioso, accanto alla storica casa del Manzoni, Raul Gardini, ritenendo che fosse imminente un suo arresto (secondo alcune versioni, non corrispondenti ad altre versioni), si sparò verso le 10 di mattina. Pensava di essere coinvolto e braccato dall’inchiesta, di cui l’attuale leader dell’Idv era un protagonista indiscusso. Ma mentre arrivavano carabinieri, magistrati e altri nell’appartamento di piazzetta Belgioioso, a poco più di duecento metri, nella Basilica di San Babila, si stava celebrando la funzione funebre per l’ex presidente dell’Eni, Gabriele Cagliari, che si era ucciso in una cella di San Vittore soffocandosi con un sacchetto di plastica. Non si è mai chiarito fino in fondo perchè Cagliari fosse restato tanto tempo a San Vittore, in custodia preventiva come si dice in burocratese, e perché un magistrato scegliesse di interrogarlo di nuovo dopo il programmato periodo di ferie. E’ probabile che un giorno si farà l’elenco dei suicidi, delle sofferenze, degli stadi di solitudine e di disperazione in cui si trovarono molte persone in quel periodo, quando l’inchiesta di “Mani pulite” era ancora all’inizio e alcuni commentatori stranieri parlavano di “Ghigliottina italiana”.
Molti di quei disperati, che nessuno se non pochi confortarono, erano degli indiziati, neppure condannati. Molti furono assolti in seguito, dopo alcuni mesi di pernottamento in carcere. Chissà se Antonio Di Pietro si ricordava di quel periodo mentre accusava Mario Monti di corresponsabilità nei suicidi di questi mesi?

Leggi anche

L'INTERVISTA/ Guidesi: la Lombardia resta prima, paghiamo la crisi geopolitica, è Bankitalia a smentirsiEni-Nigeria: motivazioni condanna dei PM De Pasquale e Spadaro/ "Nascosto elementi sfavorevoli all'accusa"