L’assetto futuro della Lega è destinato a cambiare? Non è escluso che la dimissioni di Bossi possano provocare un effetto domino che determini una rivoluzione interna al partito. Già di per sé il gesto del Senatur è un passo epocale. Tuttavia, lo scenario attualmente descritto con maggiore insistenza non rappresenta certo un sovvertimento dell’ordine interno. Fuori Bossi, fatta “pulizia” e ottenuta la testa di qualche esponente del “cerchio magico” resterebbe pur sempre Maroni alla guida del partito assieme ai colonnelli di sempre. In sostanza, quindi, non cambierebbe granché. A meno che non si faccia strada l’ipotesi veneta. Abbiamo chiesto a Giuseppe Covre, ideatore del Movimento dei Sindaci del Nordest, già deputato leghista, se il Veneto si sta preparando allo scontro. «No. E’ del tutto improbabile e poco auspicabile. E’ probabile, inece, un ridimensionamento della presenza lombarda in Via Bellerio, dove vengono prese le decisioni. Un loro passo indietro, effettivamente, è opportuno. A vantaggio, tuttavia, non solo della Liga Veneta, ma anche di quella emiliana, di quella piemontese o di quella friulana. Detto questo, l’alleanza strategica non è messa in discussione». Ad oggi, tuttavia, la rappresentanza veneta, in seno al partito e al Parlamento, è stata decisamente sottodimensionata rispetto al suo reale peso elettorale. C’è un motivo: «Il Veneto, geneticamente, non ha mai amato particolarmente la gestione intrigante del potere. Se possiamo, deleghiamo volentieri. Salvo che proprio non ci tocchi prender in mano la situazione. In quel caso, siamo in grado di farlo, e molto bene». Il riferimento, in particolare, è ai sindaci leghisti. «In Veneto sono considerati ottimi amministratori, sono ammirati e stimati dalla popolazione». Il sottodimensionamento veneto è storia antica. «Già ai tempi, la nostra Regione rappresentava per la Democrazia Cristiana un immenso bacino elettorale. Eppure, il numero dei nostri ministri è sempre stato esiguo». Oggi, Gian Paolo Gobbo, segretario della Liga Veneta, ha lanciato Luca Zaia come candidato alla segreteria federale. «Zaia – replica Covre – ha dimostrato di essere un ottimo presidente di Regione, ma sa bene che non si possono far contemporaneamente due lavori. Di certo, in futuro potrebbe essere un bravo segretario. Oggi, tuttavia, farà bene a rifiutare». Così come ha fatto bene Bossi a dimettersi. Anche se c’è chi sospetta che non sia ancora del tutto fuori dai giochi. «Spero che Bossi sia sufficientemente cosciente di quanto il movimento, in questa situazione, sia amareggiato. E che non si limiti a un passo, ma faccia almeno un chilometro indietro». Cosa che avrebbe dovuto fare da tempo. «In tutta la vicenda, l’errore più grande è stato il suo. La Lega, quando si è ammalato, è stata grande. Ha atteso con pazienza che recuperasse, manifestando solidarietà a pietas cristiana. Dopo qualche mese o qualche anno, tuttavia, avrebbe dovuto capire che non sarebbe più stato in grado di gestire il partito e preparare la successione. Ma la bramosia di potere non gli ha permesso di lasciare». Rispetto, invece, alla dimissioni del figlio, Covre esprime una posizione inedita rispetto al sentire comune. «Mi ha fatto pena. È stato usato prima e adesso. Lo hanno sacrificato per salvare il padre».
Resta da capire se sarà effettivamente Maroni il futuro capo della Lega. «Maroni è stato un ottimo ministro dell’Interno. In virtù dei meriti acquisiti sul campo, è l’unico dei lombardi in grado di prendere decorosamente e dignitosamente in mano la Lega». E fuori dalla Lombardia? «Potrebbero esserci leader papabili in Veneto, nel Friuli, in Emilia Romagna e nel Piemonte. Non necessariamente nomi noti. Ma sarà, prima, necessario fare pulizia, riscrivere le regole e ripartire da zero». Da chi? «Dai sindaci. Gli unici che oggi possano orgogliosamente essere chiamati in causa per guidare la Lega fuori dalle sabbie mobili».