La Sardegna ha fatto il primo passo verso una razionalizzazione della spesa pubblica: ha abolito metà delle proprie Province. In realtà, le quattro Province eliminate erano state create da poco. Solo nel 2005 erano diventate operative e avevano cominciato a spendere i soldi pubblici. In un libro scritto dall’Istituto Bruno Leoni, “Abolire le Province” edito da Rubettino-Facco editori, si mostrava proprio l’esempio sardo. Con l’aumento delle Province non si diminuivano le spese pubbliche, bensì i costi per i contribuenti aumentavano.
Un buon esempio di moltiplicazione delle spese dovute all’istituzione di una nuova Provincia era certamente il caso di Carbonia Iglesias. La nuova Provincia è composta da Comuni tutti prima facenti capo alla Provincia di Cagliari. Nel 2007 le spese di questa nuova Provincia ammontavano già a 30 milioni di euro, secondo il bilancio preventivo. Al contempo, tra il 2005 e il 2007, le spese per la Provincia di Cagliari, continuavano ad aumentare dai 133 ai 172 milioni di euro. Il doppione aveva portato ad un incremento di quasi il 50% dei costi per lo stesso numero di Comuni.
E negli ultimi anni le Province create sono state molte, addirittura 18 negli ultimi 20 anni. Una media di quasi una all’anno e la voglia di Province da parte dei politici non sembra essere terminata. Sono infatti i Parlamentari che hanno il diritto (non certo il dovere) di proporre l’istituzione di questi nuovi enti e non si può certo dire che si siano tirati indietro. Se tutti i disegni fossero stati approvati, il numero delle Province sarebbe passato da 110 a oltre 130, con un aumento spropositato dei costi. Solo il costo dei politici crescerebbe ben oltre i 150 milioni di euro, contro i 135 attuali. Una cifra limitata, ma che non è l’unica fonte di spesa.
Come ricordo nel libro “Dai cappi alle scope” il costo del mantenimento di questo livello di Governo costa almeno 2 miliardi di euro l’anno ai contribuenti italiani. Questa stima è fatta nella prudenziale ipotesi che tutti i dipendenti delle Province italiani, oltre 60 mila, vengano reinseriti in altri livelli di Governo. Le funzioni che adesso svolgono le Province, limitate, visto il budget di poco superiore ai 12 miliardi di euro, sarebbero trasferite ai Comuni e alle Regioni in funzione delle economie di scala che si potrebbero raggiungere.
A chi obietta che il trasferimento dalle Province alle Regioni del personale pubblico comporti un aumento dei costi dato il maggiore livello di retribuzione nelle Regioni, è bene ricordare che il momento di crisi è uguale per tutti. Soprattutto per il settore pubblico. Pensare a un incremento dei salari è totalmente fuori luogo dato che nell’ultimo decennio i salari pubblici sono cresciuti più di quelli privati e più dell’inflazione. In Spagna, il socialista Zapatero, poco prima di andare alle urne ha tagliato del 10% gli stipendi pubblici.
La Sardegna ha dunque indicato una strada, quella della riduzione del numero delle Province. Questa linea è anche quella seguita dal Presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà, e non è sbagliata in principio. Ci sono dei risparmi possibili e dunque è bene cercare di cominciare a risparmiare. Tuttavia, il taglio delle Province, così come era pensato anche dall’ex Ministro dell’Economia Giulio Tremonti, avrebbe comportato un risparmio di soli 300 milioni di euro, contro un risparmio possibile, grazie all’eliminazione totale, di circa 2 miliardi di euro.
La riforma Monti delle Province in realtà non permette di avere dei veri risparmi, perché le funzioni delle Province vengono poco a poco trasferiti, mentre viene eliminato solo il livello politico e dunque le elezioni per questa istituzione. In questo modo vi è solo il rischio che i burocrati o i politici “bocciati” alle urne vengano a messi a capo della Provincia senza un alcun risparmio, ma solo con una deresponsabilizzazione ulteriore della spesa.
La Sardegna dunque è un primo passo in avanti, ma il Governo Monti, anche nel caso delle Province, ha bisogno di un serio cambio di marcia per fare quelle riforme tanto necessarie a un’Italia in una crisi sempre più profonda.