Mentre i falchi del Pdl e i giornali d’area si stringono minacciosi attorno ad Angelino Alfano, invocando la caduta del governo e l’ennesimo ritorno di Silvio Berlusconi, le colombe tendono le orecchie alle parole di Pier Ferdinando Casini. «Il Terzo Polo è stato fondamentale, ma oggi siamo in un nuovo campo. Il gioco è diverso», ha dichiarato infatti il leader dell’Udc, che per commentare il voto aveva usato l’immagine dei «moderati sotto un cumulo di macerie».
«Le elezioni amministrative hanno dimostrato che il Popolo della Libertà non è in grado di sopravvivere a Berlusconi – spiega Stefano Folli a IlSussidiario.net –. Nel Paese però c’è un’area moderata che vuole continuare a contare, per il semplice fatto che è la nervatura del Paese da 50 anni a questa parte. La proiezione politica che Berlusconi ha interpretato per tanti anni su quest’area si è esaurita. D’altra parte, ogni ciclo finisce. A questo punto, Alfano o non Alfano, bisogna immaginare il futuro. I moderati devono avere una casa».

Le aperture di Casini possono essere interessanti in questo senso?

Il leader centrista ha cercato di lanciare un’Opa sul Pdl, ma non c’è riuscito. Oggi rappresenta una parte importante di quest’area, ma per poter giocare un ruolo di primo piano, come ha fatto Silvio Berlusconi per 18 anni, servirebbe una novità. Cosa che non può più produrre né il Cavaliere, né uno dei suoi collaboratori.

Nemmeno il Terzo Polo, se viene dato per fallito dai suoi stessi fondatori.

Vede, Casini ha capito che il Terzo Polo non può essere un’operazione a tavolino o un gioco di palazzo che metta assieme tre o quattro esponenti dei vecchi partiti. Deve saper rappresentare ciò che si muove nella società, con un linguaggio nuovo e facce nuove, superando eccessivi tatticismi. Questo è ciò che chiede il Paese e questo è anche il senso della vittoria di Grillo. Francamente il Terzo Polo aveva un’immagine stantia e il Partito della Nazione, proposto mille volte, non rappresenta la soluzione. Casini l’ha ammesso, anche se, tra il dire e il fare…

Che tipo di novità servirebbe allora?

Il vero problema non sono le alleanze, ma una figura nuova che rappresenti competenza al governo e serietà. Qualcuno che interpreti l’Italia reale, orfana della Lega e del Pdl.
Chi potrebbe farlo, se riuscisse a liberarsi dall’immagine di “uomo delle tasse”, è Mario Monti. Per ora, infatti, non vedo altri più indicati di lui.

Non pensa che questo risultato elettorale lasci trasparire una certa insoddisfazione anche nei confronti dei tecnici e del loro governo?

In questo risultato ha influito sicuramente il malessere sociale che c’è nel Paese, ma è stato un voto contro i partiti e il loro bilancio fallimentare. Monti non c’entra in maniera diretta. 

La maggioranza quindi non corre rischi?

Le forze politiche non hanno la forza di farlo cadere, ma tutta questa fibrillazione non può far bene al governo. L’esecutivo tecnico infatti ha bisogno di una base solida, per sua natura non può convivere con le tensioni e le punture di spillo. Probabilmente però la fase del sostegno deciso e convinto è finita. 

Passando alla sinistra, il Pd ha tenuto senza brillare, ma non ha subito un crollo paragonabile a quello del Pdl. La frammentazione che emerge da questi risultati deve comunque preoccupare i democratici?

Moltissimo. Sia per quanto riguarda i tempi delle elezioni, a mio avviso da non anticipare a prima della fine della legislatura, sia per quanto riguarda la capacità di operare una sintesi e di tenere insieme un’ipotesi politica valida. Una proposta che riesca a prendere i voti senza essere surclassata dal Movimento 5 Stelle, un soggetto che comunque peserà sul futuro della politica italiana. 

Per chiudere, un commento sul Carroccio. Lei crede a chi dice che «ha vinto la Lega di Maroni e ha perso quella di Bossi»?

No, ha vinto la Lega di Tosi. Il sindaco di Verona, prima di altri e senza l’ambiguità di altri, ha posto il problema del superamento del bossismo, con tutto quello che significava.  Oggi incarna una Lega che va al di là di quello che è stata in questi anni, che ha un linguaggio concreto e pragmatico. Maroni no, anche se probabilmente potrà fare il segretario… 

(Carlo Melato)