Quando Silvio Berlusconi ha commentato a caldo l’esito delle elezioni amministrative dicendo che non erano andate così male, che anzi lui si aspettava di peggio, si è avuta l’impressione che l’humor del Cavaliere stesse migliorando. Sembrava una barzelletta, insomma, e in quanto tale molto più sobria e soprattutto più divertente rispetto alle ultime che gli erano uscite piuttosto male.
Ma a ben vedere, Berlusconi parlava seriamente.
Nessuno più di lui è infatti consapevole dello stato dei sondaggi. Che non autorizzavano illusioni per il voto amministrativo e che rendono impraticabile ora, salvo autolesionismi, parlare di elezioni anticipate da parte di qualsiasi persona assennata del Pdl. Ed è evidente che, in questo quadro, le minacce a Monti di staccargli la spina assumono un sapore velleitario, mancando ogni intenzione e possibilità di andare fino in fondo di fronte all’uso della fiducia che, come abbiamo potuto riscontrare, questo governo non disdegna, pari pari ai suoi predecessori.
A dire il vero, però, fra liste civiche, astensioni e Grillo tutti i partiti tradizionali non se la passano granché bene. Prendi il – fu – Terzo polo. Non avevamo ancora fatto in tempo nemmeno a capire se era corretta questa dizione (perché loro, ci avevano spiegato, puntavano a essere il primo, non si accontentatavano di essere il terzo) ed ecco sciolto il dilemma: il Terzo polo non esiste. Anche se proprio una cosa seria non doveva essere già prima, se è bastato a farlo saltare un’intervista al Tg1 di Pier Ferdinando Casini, leader di un partito che aveva appena azzerato tutte le cariche, ma il leader, evidentemente, siccome non lo si elegge non lo si può nemmeno azzerare. Il vizio del predellino ha preso piede, a quanto pare. Il vizio di segnare le svolte bypassando organismi di partito e militanti, tesseramenti e tesserati. Se si deve smantellare si smantella, di punto in bianco, e poi si vede come ricostruire e con chi. Bah. Peccato che proprio la critica al metodo del predellino aveva portato Casini a stare fuori dal progetto del Pdl e indotto Gianfranco Fini a uscirne.
D’altronde, analizzando nei dettagli il recente voto amministrativo, non è che fossero mancati i voti ai singoli addendi del nuovo polo. Quel che è mancata, invece, è l’amalgama, come a quel presidente di calcio che aveva comprato buoni giocatori, ma ne mancava ancora uno per sfondare. Amalgama, appunto. Così, dopo che il Terzo Polo si è presentato in ordine sparso, portando a casa poca roba, Casini ha ordinato il “rompete le righe”.
C’è una strana e progressiva inquietudine nel leader dell’Udc, un’insofferenza neanche ormai più dissimulata verso il suo stesso partito che lo porta già da qualche tempo a privilegiare forme diverse di raccordo con l’elettorato, tv, giornali e ultimamente Twitter, di cui Casini è diventato assiduo frequentatore.
Difficile indovinarne le intenzioni, si possono solo fare delle supposizioni.
La crisi del Pdl, la Lega in caduta libera aprono infatti una prateria nella metà campo del centrodestra e Casini si deve essere convinto che la compagnia di Fini (per non dire di un Rutelli azzoppato dalla vicenda Lusi) costituisse una “zavorra” sia per proporsi all’associazionismo cattolico in cerca di nuove agibilità politiche, sia per interagire con il Pdl, o almeno con la consistente parte di esso che punta a costruire un nuovo soggetto nel solco del Ppe. Vedremo quel che accadrà, ma le incognite sono tante.
Non bisogna dimenticare, ad esempio, che l’Udc oggi è un partito che ha conservato un certo radicamento nonostante si siano succedute nel tempo varie, innumerevoli operazioni per portare il suo elettorato nell’alveo del Pdl. Cito a memoria: Rotondi, Giovanardi, Pionati, Saverio Romano, sono tutti transitati nel Pdl con l’intenzione, mai realizzata, di prosciugare Casini. Cosicché nell’elettorato dell’Udc si è realizzata una progressiva de-berlusconizzazione, proprio per effetto di questi ripetuti strappi. Chi voleva passare, insomma, è già passato.
Ora, pensare di riportare all’ovile del centrodestra i voti del’Udc mettendoli in comune col Pdl – mentre Berlusconi mostra ancora di voler dettare la linea, anche nei rapporti col Quirinale – sarebbe un’operazione ad alto rischio per Casini: non si sa infatti se e quanti possano essere disposti a seguirlo, peraltro con l’aria che tira in Europa, vedi la disfatta della Merkel in Germania, che si aggiunge alla svolta francese.
È anche vero che le migliori operazioni politiche si costruiscono all’opposizione, dunque se c’è la consapevolezza della strada impervia che li aspetta bene fanno Casini e Alfano a mettersi insieme e costruire il futuro. Ben sapendo, il segretario del Pdl, che oggi Berlusconi assume un ruolo semplicemente opposto rispetto a soli due anni fa, da catalizzatore di vittorie che era rischia oggi di condannare alla sconfitta tutti quelli che vengono percepiti come continuatori della sua opera o come suoi alleati. Un po’ come accade con Bossi nella Lega, nel cui ambito l’unico che ha vinto è Tosi, che il Senatùr un mese e mezzo prima del voto aveva minacciato di espellere, minaccia che si è presto trasformata, per ilo sindaco di Verona, in una medaglia.
Insomma, vuoi per l’aria che tira in Europa, vuoi perché due italiani su tre non vogliono saperne di tutti quelli che sono stati alleati supini di Berlusconi, costruire qualcosa nell’area di centrodestra è un’operazione che difficilmente potrà dare frutti nel breve volgere di un anno. Con tutto l’autolesionismo di cui la sinistra è capace, insomma, nonostante l’incombente fenomeno di Grillo (che però non è stato un boom, ha ragione Napolitano) Pier Luigi Bersani ha in mano il boccino del gioco, sebbene abbia da farsi perdonare l’assenza di chiarezza sul caso Penati.
Chi vuol investire nel cantiere del centrodestra, insomma, deve sapere che sarà dura. Deve essere disposto cioè anche a mettere in conto un giro all’opposizione.
Ma c‘è un alternativa, che può nascere nei prossimi mesi all’ombra del governo Monti, se questo – come pare – saprà capace di uno scatto in avanti, rispetto al grigiore tecnocratico in cui stava scivolando fino a 10 giorni fa.
Si tratterebbe di blindare un patto per il Quirinale e per il nuovo governo al tempo stesso, un patto che veda il concorso solo di una parte del centrodestra, senza i pasdaran (i vari Brunetta, Santanché e La Russa) in cambio della rinuncia, sul versante opposto, da parte del Pd, delle alleanze più ingombranti e massimaliste. Insomma: larghe intese per eleggere il nuovo Capo dello Stato e condurre in porto la nave Italia. Nel giro di due o tre mesi si capirà se ci sono le basi per arrivarci.
P.S. Il tweet della settimana: un milione per comprare De Gregorio, anche se uno voleva ragionare a peso, mi sembra davvero troppo. Forse bastavano pure 50 cozze pelose.