Per mesi è stato silente. E del tutto indifferente. Così sembrava. Per dire: durante le Comunali, mentre la sua creatura politica soccombeva, lui faceva bisboccia e gozzovigliava da Putin. Poi, se ne esce con una bomba. Proponendo l’introduzione del sistema presidenziale e del meccanismo elettorale a doppio turno, come in Francia. E sin qui, niente di che. Non fosse per il fatto che il candidato del suo partito alla presidenza della Repubblica, una volta che le saranno attribuiti i poteri del capo dell’esecutivo, sarà lui. D’altronde, così facendo, manterrà la promessa: non si ricandiderà alla presidenza del Consiglio. Non che lo abbia detto chiaro e tondo. Lo ha lasciato, però, intendere in maniera che più limpida non si poteva. Alla domanda: «lei si candiderà al Qurinale», ha risposto: «farò quello che mi chiede il Pdl». Ora, chiunque sa che una frase del genere messa in bocca al leader di un qualunque partito significa sì. Se il leader in questione è pure proprietario del partito, le conseguenze si traggono da sé. Il commento di Antonio Polito.
Nel merito, anzitutto, la proposta di Berlusconi ha senso?
Di sicuro, da tempo l’Italia ha bisogno di una riforma del suo ordinamento costituzionale e di una nuova legge elettorale. L’elezione diretta del presidente della Repubblica, cui sono attribuiti gran parte dei poteri spettanti al capo dell’esecutivo, di per sé è un sistema indubbiamente funzionante. Non a caso venne introdotto per correggere le debolezze della Quarta Repubblica francese, non troppo dissimili da quelle che stiamo sperimentando in Italia.
Andrebbe bene anche per il nostro Paese?
Sarebbe sicuramente applicabile alla nostra tradizione e al nostro sistema politico frammentato poco più di quello francese che trova, nel doppio turno e nell’elezioni diretta una capacità di sintesi di governo.
Come valuta la proposta, invece, alla luce del fatto che sembrerebbe, a tutti gli effetti, il modo di Berlusconi per tornare in pista?
Affannata, frettolosa e tardiva. Berlusconi ha avuto quasi 18 anni per riformare lo Stato. Certo, si obietterà che il presidenzialismo lo ha proposto più volte.
Infatti.
Avrebbe potuto anche realizzarlo. Per almeno due legislature, infatti, ha goduto di un ampissima maggioranza. Oltretutto, la sinistra italiana, fin dai tempi della Bicamerale, non è mai stata contraria ad un sistema del genere.
Quindi, perché suggerirlo adesso?
Si tratta di un colpo di teatro per uscire dall’angolo e per ridare un senso al Pdl.
Berlusconi è davvero convinto di poter salvare i moderati dalla crisi?
Il problema del Pdl è quello di ridarsi un senso che, dopo la caduta del governo, non ha più. Una grande riforma istituzionale è una ragione di vita. Ma non è l’unica. Gli italiani sono molto più preoccupati dalla situazione economica del Paese.
Posto che la riforma vada in porto, che convenienza avrebbe il Pdl a presentarsi alle urne con un sistema a doppio turno?
Berlusconi ha capito che anche ai fini della competizione elettorale il doppio turno potrebbe convenirgli. Il suo partito avrebbe molte più chance di andare al ballottaggio.
In questo caso, l’ipotesi di un’Opa ostile da parte di Casini o di Montezemolo sul Pdl sfumerebbe.
Esatto. Con il doppio turno Berlusconi sa che resterebbe egemone nel suo campo. Che vincesse o meno le elezioni, i partiti più in sintonia con il Pdl sarebbero obbligati all’alleanza, dovrebbero adeguarsi. Sarebbero costretti, dopo aver corso al primo turno da soli, ad allearsi con lui in condizioni di svantaggio.
Crede che intenda tornare a governare l’Italia?
Credo, piuttosto, che intenda ritagliarsi un ruolo di personaggio essenziale alla politica.
Ma si ricandiderà?
Se realmente si introducesse lo schema francese, sì. E non è escluso che, a quel punto, se dovesse vincere le elezioni, Alfano potrebbe ricoprire un ruolo analogo a quello di primo ministro d’Oltralpe.
Secondo lei, in ogni caso, si giungerà ad un esito concreto?
La fattibilità pratica del progetto è inficiata dalla condizioni politiche attuali. Berlusconi è molto meno autorevole e credibile del passato e gli altri, sapendolo, sono molto più proiettati a vincere le elezioni piuttosto che a cambiare la legge elettorale. Anzi, in molti temono che si possano rimescolare le carte in maniera tale fa far perdere il vantaggio di adesso.
(Paolo Nessi)