Il voto del 20 maggio ha rappresentato una sorta di “sassaiola” che ha colpito principalmente la maggioranza che aveva vinto le elezioni del 2008 e che però ha anche investito in modo rilevante il Pd. Ma non solo i partiti stanno perdendo il controllo della situazione, anche le istituzioni sono nel mirino. Lo stesso Capo dello Stato non esce indenne. Giorgio Napolitano è certamente molto stimato, ma ben poco ascoltato se quasi la maggioranza degli italiani non va a votare e la maggioranza di chi vota lo fa contro il “suo” governo.
Parlare di “antipolitica” a questo punto è fuorviante. Abbiamo di fronte un fenomeno che ha ragioni politiche molto precise. La prima è il fatto che siamo l’unico caso al mondo in cui, nel pieno di una crisi che sta diventando recessione, i principali partiti si dichiarano incapaci di governare, ma rifiutano di chiamare i cittadini alle urne e affidano il Paese a un governo extraparlamentare, per lo più di sconosciuti.
I cittadini, mentre sono bersagliati da tasse e temono impoverimento e disoccupazione, al termine della giornata vedono telegiornali con parlamentari e relativi portaborse ben stipendiati sostanzialmente disimpegnati. Da mesi discutono a vuoto se e come modificare la legge elettorale che da due legislature consente di portare in Parlamento i propri protetti, oppure la legge sul finanziamento dei partiti che consente di avere “rimborsi” del tutto sproporzionati, utilizzati per spese anche inutili e personali, senza seri controlli e con vistose illegalità.
Intanto il governo dei tecnici nomina altri tecnici per cercare dove tagliare nella spesa pubblica. Per quanto riguarda il modo di affrontare la crisi che investe il Paese in sostanza Pd e Pdl “si chiamano fuori”: votano i provvedimenti del governo ostentando scarsa convinzione.
Le tabelle che distinguono le città in cui ha vinto il centro-sinistra o il centro-destra sono poco significative in quanto il dato di fondo è che i partiti che sostengono il governo hanno perso il controllo della situazione: da Flavio Tosi a Leoluca Orlando, da Genova a Parma in tutta la penisola è un monocolore di sindaci “indignati”.
Dopo il 20 maggio c’è stato un mutamento del quadro politico rappresentato dal fatto che nelle principali città i vincitori sono tutti schierati contro il governo Monti (il Pd vince là dove ha perso le primarie). Ad aggravare la situazione c’è il pericolo di uno “scacco matto” nel senso che ormai le vie di fuga sono sbarrate: sia le elezioni anticipate sia il protrarsi di un “Parlamento ozioso” appaiono entrambe un suicidio. Come si può pensare di andare alle elezioni anticipate senza nemmeno aver cambiato la legge elettorale e quella sul finanziamento pubblico (non basta certo una autoriduzione) con, in più, una campagna elettorale al buio bombardata dai mercati?
D’altra parte rimanendo nell'”ozio parlamentare” partiti e istituzioni perdono sempre più rappresentatività e legittimità. La stessa politica del Pd alimenta l’”antipolitica” di Grillo. È davvero “popolare” un Bersani che vota Monti candidandosi a sostituirlo con il voto dei partiti d’opposizione? Le primarie della coalizione di Vasto sono a questo punto un’incognita. E il Pdl? La “coalizione dei moderati” è stata già fatta da Berlusconi conseguendo nel 2008 la più ampia maggioranza parlamentare della storia repubblicana. L’elettorato che ha perso è un elettorato deluso, irritato e preoccupato. Riconquistarlo non è questione di “casting” e “marketing”. Occorre presentare un “gruppo dirigente” di sicura competenza, moderato e riformista.
Estromettere Fini e Tremonti per poi presentare candidati sostenuti da liste neofasciste è apparso come uno spostamento a destra. Se in una città come Sesto San Giovanni – dove pur il Pd era in forte crisi – ci si presenta sbandierando La Destra di Storace significa “cacciare” i moderati e regalare alla sinistra un assurdo trionfo.
La principale responsabilità è però oggi sulle spalle di Giorgio Napolitano. Il disegno originario del “suo” governo era certamente valido e, appunto, non era quello di un governo extraparlamentare. Monti infatti era stato nominato senatore a vita proprio per poter stare alla pari con ministri parlamentari. Si trattava di mettere insieme le personalità autorevoli e competenti di entrambi gli schieramenti per dar vita ad una squadra di “unità nazionale” capace di affrontare l’emergenza avendo rappresentatività e consenso.
Non si è riusciti e il risultato è stato l’esatto opposto e cioè “il silenzio dei riformisti” di entrambi gli schieramenti con una generale impopolarità dei partiti e delle istituzioni. In tutti i campi è oggi l’ora dei doberman più aggressivi e irresponsabili che costruiscono le proprie fortune sulle rovine del Paese. Se l’Italia viene governata da un esecutivo con maggioranza così ondeggiante e disimpegnata si apre la prospettiva di uno sbocco “alla greca”.
O Pdl e Pd riprendono le redini del governo del Paese oppure rischiano di finire – come titolava un bel libro di Giorgio Napolitano sul Pci di Berlinguer – “in mezzo al guado”, impantanandosi nei prossimi mesi in una straziante agonia del Parlamento della Repubblica contestato da un marasma antinazionale e antieuropeo.