Mario Monti non si è accontentato di seguire l’antico adagio napoletano dell’“ha da passà ‘a nuttata”. Non ha atteso che la fine della campagna elettorale per le amministrative stemperasse i toni della polemica fra i partiti che sostengono il suo governo, ed è passato al contrattacco.
Ha messo i puntini sulle “I”,  si è rivolto soprattutto ad Alfano, perché quello con il Pdl è il fronte più caldo. Prima ha bacchettato la cancellazione dell’Ici e gli inviti all’evasione fiscale, poi ha precisato che non ce l’aveva con il segretario del principale partito che lo sostiene. E Alfano dice che con il premier è tutto chiarito, ma che lui manterrà la proposta della compensazione fra crediti e debiti verso lo Stato che secondo Palazzo Chigi è invece impraticabile.



Passeggiando per il Transatlantico semivuoto di Montecitorio si ha l’impressione che il rischio di una crisi non ci sia a breve, ma che i fronti aperti per il governo stiano aumentando. E il voto di ieri in Senato sulle pensioni dei supermanager è visto come un colpo d’avvertimento da un Pdl spaventato da una possibile debacle elettorale e tentato persino dall’appoggio esterno al governo.



In realtà nessuno ha la forza politica oggi di sferrare al governo tecnico la coltellata mortale. Neppure il Pd, che pure continua a manifestare preoccupazione per l’Imu, spinto in questo anche dalla forte componente di sindaci e amministratori locali che fanno capo al partito di Bersani, che per la tassa ha usato un aggettivo inequivocabile: micidiale.
Tutto ora è rimandato a dopo il voto amministrativo, che potrebbe anche cambiare i rapporti di forza dentro la maggioranza, in caso – ad esempio – di una forte affermazione dei candidati di Bersani.

Monti ne dovrà tener conto in un’azione di governo non più fluida come nelle prime settimane. La ripresa non arriva, lo spread resta alto, nessun risultato concreto dei sacrifici che già gli italiani stanno facendo ha dato sino ad ora risultati tangibili.
E in Parlamento c’è da continuare la discussione sulla riforma del mercato del lavoro, proprio mentre si apre lo scontro sul rinnovo del consiglio d’amministrazione della Rai, tema sul quale forse il governo ha perso l’attimo giusto per procedere a una riforma a tappe forzate. 



Ora che il consiglio d’amministrazione è scaduto non si può che procedere sulla base della legge attuale, quella che porta il nome di Maurizio Gasparri, anche se verrà tentata la strada della modifica dello statuto per spostare i centri decisionali verso gli uomini designati dal ministero del Tesoro, cioè – guarda caso – proprio da Monti.

Intanto il tempo per le riforme istituzionali, in particolare per cambiare la legge elettorale, sta scadendo. Per pensare a una grande coalizione anche dopo le elezioni, come Casini sta ripetendo insieme al resto del Terzo Polo, bisogna eliminare dal “Porcellum” il premio di maggioranza. Ma la clessidra scorre inesorabilmente e il rischio di tornare a votare con l’attuale sistema elettorale diventa ogni giorni che passa  sempre più concreto.

(Anselmo Del Duca)