A pochi giorni dalle elezioni amministrative i rapporti tra politici e tecnici sembrano giunti al loro punto più basso dalla nascita del governo Monti. L’insofferenza è evidente e piuttosto trasversale, anche grazie alla sollevazione dei sindaci di ogni colore nei confronti dell’Imu. «La luna di miele sembra finita anche tra Monti e il Pd – spiega a IlSussidiario.net Peppino Caldarola, commentatore politico, già direttore de l’Unità –. Pier Luigi Bersani non sembra certo dell’idea di aprire una crisi di governo, ma è sicuramente un alleato sempre più esigente, anche perché sente la pressione che sta salendo dalla società. Non solo, il segretario del Partito Democratico si è accorto che il secondo tempo, quello della crescita, non è ancora iniziato. E questo rende il contesto generale ancora più complicato».



La nomina di nuovi tecnici non ha di certo migliorato il clima.

Certo che no. A sinistra questa decisione non è piaciuta. In primo luogo perché la nomina di Amato sembra azzerare la discussione in atto tra i partiti sulla riforma istituzionale e sui tagli ai costi della politica, che proprio Bersani stava cercando di intestarsi.
Né, d’altra parte, appare convincente la nomina di Bondi: i tagli, infatti, non sono materia tecnica, ma evidentemente politica. Così facendo però la distanza tra partiti e governo si allarga.



In questo contesto si avvicina un voto in cui il Pd parte favorito.

È vero, c’è una certa serenità e un discreto ottimismo, anche se non mancano le incognite. La prima riguarda il risultato che riuscirà a ottenere Beppe Grillo, che in prospettiva può diventare un pericolo per i democratici.
Dopodiché c’è il caso di Leoluca Orlando a Palermo. I sondaggi infatti lo danno per vincente, ma questo smentirebbe la strategia del Pd, fatta di primarie di coalizione e di un asse preferenziale con Sel.

Il risultato delle urne potrebbe darci altre indicazioni sullo schema delle alleanze del futuro?

Nel centrosinistra ad oggi ci troviamo di fronte a una “foto di Vasto” in cui è Di Pietro l’elemento più distaccato. Dopodiché non è ancora tramontato il sogno del Pd di agganciare Casini, anche se l’Udc sembra davvero intenzionata a giocare la carta solitaria.



Sul fronte interno si torna invece a parlare di un’insoddisfazione dell’area prodiana. 

Guardi, il nome di Romano Prodi tornerà in primo piano non appena si concluderà il settennato di Giorgio Napolitano, quando si aprirà, a mio avviso, la competizione tra il Professore, Casini e Monti. Nel frattempo questa componente non vede certo di buon occhio una riforma elettorale portata avanti da Violante che contraddice il sistema maggioritario. Per questo è piuttosto in sofferenza, anche se ad oggi non ci sono indizi di una possibile rottura. 

A proposito di legge elettorale, secondo lei c’è ancora il tempo per portare a termine questa riforma o è già troppo tardi? 

Se si incardina entro dieci giorni dalle amministrative ci può essere qualche speranza, altrimenti sarà una materia che interesserà il prossimo Parlamento. A dire la verità negli ultimi mesi si è perso troppo tempo e lo scarso entusiasmo delle forze politiche non lascia prevedere grandi sviluppi. 

Da ultimo, secondo lei che effetti potrà avere il voto francese sul nostro quadro politico?  

L’eventuale vittoria di Hollande, a mio avviso, potrebbe aprire una fase nuova della politica italiana. Innanzitutto perché il candidato socialista si presenta come il critico più severo della Merkel, mentre l’attuale presidente del Consiglio tende a costruire un asse proprio con la Germania. E per questo sono convinto che potrebbero scatenarsi quelle scintille tra governo e Pd che in questo momento covano sotto la cenere.  
Ma il discorso dovrebbe riguardare anche il Pdl, che dovrà interrogarsi profondamente e sarà costretto a scoprire le carte rispetto alla “novità epocale” che ha annunciato in questi giorni.
Rimanendo comunque sul Pd, l’affermazione della sinistra francese, riaccenderebbe senza alcun dubbio la questione identitaria.

L’eterno dibattito sul dna del Partito Democratico?

Esattamente. D’altra parte in Francia c’è una socialdemocrazia più tradizionale, maggiormente “di sinistra”. E la sua affermazione potrebbe senz’altro sollecitare una svolta socialdemocratica all’interno del Pd, con una prevedibile reazione contraria nella componente popolare di Fioroni e in quella laico-repubblicana di Follini. A quel punto si vedrà se si saranno creati nel frattempo dei possibili sbocchi al centro. Insomma, le reazioni a catena non dovrebbero mancare, anche se sono difficilmente prevedibili.