Domenica in Sardegna si è tenuto un referendum (anzi, dieci referendum, tante erano le schede da votare) che anche per la concomitanza delle elezioni comunali non ha avuto molta notorietà sulle pagine dei giornali. In realtà si è trattato di qualcosa di molto significativo, alla luce della tante volte annunciata abolizione delle province, perché gli elettori si sono espressi in favore dell’abolizione di questi enti amministrativi. Ad essere abolite sono quattro province, quelle di formazione più recente, mentre tutte le altre sono state sottoposte solo a quesiti di tipo consultivo. E’ questa una delle ragioni che fa scattare l’indignazione di Giò Martino Loddo, assessore ai Lavori pubblici, Viabilità e Trasporti della provincia Olbia-Tempio, una di quelle abolite, che non ci sta ai titoli che sono apparsi in questi giorni, tipo: “La Sardegna contro la casta”. «Ma quale casta, la casta vera la vadano a cercare altrove», dice a IlSussidiario.net. «La realtà è che questo sentimento populista della cosiddetta antipolitica ha creato qui in Sardegna una situazione gravissima». Questo perché, dice ancora Loddo, territori provinciali sono stati scippati delle risorse faticosamente raccolte per essere distribuite per il bene locale e portate a Cagliari. «Si sta creando una spinta autonomista che porterà la Sardegna a fare la fine della Corsica senza tenere conto che ci sono ancora dei politici veramente mossi dalla passione e dal desiderio di fare l’interesse della popolazione locale. Strade alternative ce ne erano e ci sono, spero che si possano ancora prendere in considerazione prima che sia troppo tardi».
Loddo, per prima cosa ci spieghi chi ha voluto questo referendum.
Il referendum è stato promosso da un comitato costituito essenzialmente dai Riformatori Sardi, fortemente voluto da loro e da altri partiti. Bisogna tenere conto che la situazione in Sardegna è un po’ particolare. Nel 2005 infatti sono state create quattro nuove province, su una forte spinta da parte del territorio della Gallura che voleva avere una provincia autonoma e non dipendere da Sassari.
Perché?
I motivi sono diversi, pensiamo alle caratteristiche geomorfologiche del territorio e anche alle caratteristiche della popolazione. Delle quattro nuove province questa era forse l’unica che aveva già in precedenza motivo di esistere.
Invece cosa è successo?
E’ successo che si sono accodate poi per motivi politici altri territori e si sono create altre nuove province. Non voglio dire che come importanza e per motivi storici fossero meno importanti, però i motivi non corrispondevano alle esigenze della prima provincia.
Ci spieghi meglio le esigenze della sua provincia.
In Gallura siamo circa 160mila abitanti su un territorio che supera i tremila chilometri quadrati. Abbiamo 800 chilometri di strade provinciali e abbiamo dei grossi problemi per quel che riguarda i collegamenti su gomma. Sassari, da cui dipendevamo, la faceva da padrona e tendeva a privilegiare il territorio del suo circondario in modo particolare Porto Torres, Sassari stessa e Alghero. Tanto è vero – e posso parlare con cognizione di causa – la strada Sassari Santa Teresa finanziata per oltre 37 milioni di euro si è arrestata subito dopo Castel Sardo e il resto dei finanziamenti è stato dirottato su Alghero.
Mi sembra di capire che vi sentiate in qualche modo derubati.
Avevamo fatto un piano di lavoro, avevamo cercato i finanziamenti e nel momento in cui si stava diventando operativi e si stavano vedendo i primi risultati siamo stati cancellati da questi referendum.
Affrontiamo allora questo referendum, ci spieghi in cosa consiste.
Si tratta di referendum un po’ particolare perché sono stati pensati di fronte a un atteggiamento populistico, quello della cosiddetta antipolitica, con delle grosse divergenze al loro interno. Perché si fa un referendum abrogativo per annullare le nuove province e non quelle vecchie?
Mi sembra però ci fosse una scheda apposita che prevedeva l’abrogazione anche delle province di Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano.
I quesiti che riguardavano le quattro nuove province erano per l’abolizione delle leggi che le avevano fatte nascere. Il referendum che riguardava le altre province è stato invece solo di tipo consultivo. E’ logico che le vecchie province quali Cagliari e Sassari, avevano tutto l’interesse ad abolire le nuove province, per recuperare quel territorio che gli era stato tolto.
Adesso cosa succede?
Se andiamo ad analizzare il voto, la percentuale di votanti è ben distante dal 50%, vuol dire che la popolazione stessa ha “bocciato” i referendum. Queste province avevano ragione di esistere e stavano funzionando. Più del 73% dei cittadini non andando a votare hanno detto che questo referendum non era assolutamente sentito dalla poplalzione.
Alcuni giornali hanno scritto che la Sardegna si è lanciata contro la casta.
La casta la vadano a cercare da un’altra parte. Non esiste che venga considerata casta una amministrazione provinciale dove il presidente rinuncia allo stipendio e dove io che sono un medico ci rimetto perché i soldi che percepisco dalla provincia mi servono per coprire il sostituto medico che viene a lavorare al posto mio. La casta lasciamola perdere: se noi ci siamo buttati sulla politica lo abbiamo fatto esclusivamente per il bene del territorio, perché abbiamo la passione della politica. Ci stiamo dimenticando che oggigiorno ci sono anche politici che si impegnano per passione e servizio. Allora non mettiamo tutti nella stessa barca. Noi poi conosciamo l’esigenze del territorio, un consigliere provinciale stia tranquillo che dal territorio non si muove, mentre un consigliere regionale se ne va in regione e si dimentica del territorio di provenienza.
C’è un problema di regione contro territorio locale, è d’accordo?
Io chiedo: perché non hanno abolito la regione, ma hanno abolito le province? Perché non rimodulare eventualmente una struttura fatta sul modello delle province autonome di Trento e Bolzano dove i consiglieri provinciali sono anche regionali e con uno stipendio solo?
Che cosa prevede possa succedere adesso? La Sardegna sarà un laboratorio per il resto dell’Italia, per abolire le province?
Questa ondata populistica ha creato un grande caos perché c’è una situazione dove in seguito al referendum abolitivo si aboliscono le province e poi Cappellacci (presidente della Regione Sardegna, ndr) nomina un commissario che curerà una provincia che non esiste più? Immagini una grossa azienda che provi a eliminare il consiglio di amministrazione dall’oggi al domani: gli stipendi chi li paga agli operai? Si è creata una situazione gravissima, dove già prima del referendum io che ero assessore provinciale venivo deligittimato dal mio ruolo ogni volta che mi recavo a Cagliari. Ci andavo lo stesso, con la consapevolezza di dover sbattere la testa contro questi signori della Regione.
Una situazione parecchio complessa insomma.
Ci sono anche altri aspetti. Siamo costretti al patto di stabilità e a non spendere le risorse che ci siamo dati onestamente e dove va a finire il tesoretto, questi soldi che la nostra provincia aveva messo da parte? Ritorna a Cagliari, i soldi che stavamo distribuendo per realizzare opere pubbliche ci vengono scippati e vengono messi tutti nel calderone della Regione.
Un centralismo preoccupante.
Un centralismo devastante, perché le esigenze del territorio le conosciamo noi che ci viviamo centimetro per centimetro.
L’esempio sardo approderà sul continente?
Non lo so, so che in Sardegna ci sarà un grande aumento della spinta autonomistica con questi referendum. Stiamo alimentando il fuoco autonomistico: tenga presente che già adesso un sardo su quattro è fortemente propenso a una autonomia e l’autonomia è molto vicino a qualcosa che non voglio dire.
Il separatismo?
Una situazione così grave porta a degli estremismi e sappiamo tutti cosa è successo e succede in Corsica.
Che rimedi a tutto questo?
L’unico rimedio è quello di fare un piccolo emendamento che dica che le province abolite vadano a scadenza nel 2015 e fare una profonda riflessione per vedere dove sono davvero gli sprechi. Operare una forte riduzione del numero dei consiglieri regionali, una forte riduzione dei consigli di amministrazione regionali e soprattutto una forte riduzione degli stipendi. Io, ad esempio, sarei ben felice di rimetterci anche dei soldi, purché venga messo in condizioni di poter lavorare per il bene del mio territorio.