Il governo si è impegnato a trasferire per intero ai Comuni l’importo dell’Imu, la tanto discussa tassa sulla casa reintrodotta dal governo Monti anche per la prima abitazione. In questo modo viene sanata una stortura denunciata dai sindaci: un’imposta concepita come entrata per l’ente locale utilizzata invece dallo Stato per fare cassa, relegando i Comuni quasi al rango di esattori.



Sanato questo aspetto, resta solo da discettare sull’importo della tassa, e sulla sua fondatezza. Su quest’ultima sono in molti a far presente come essa in effetti ricalchi analoga imposizione presente in tutta Europa, e il suo ritorno ai Comuni che sopportano più di tutti oneri per servizi ai cittadini, ma anche agli immobili del territorio la rende anche piuttosto logica, per quanto logica e ben accetta possa essere una tassa.



Quanto all’importo, una casa media con due figli a carico in una città di media entità comporta un esborso, nella prima rata, non molto superiore al canone Rai e complessivamente minore certamente della Rc auto, un’altra “tassa” aumentata sotto i nostri occhi in maniera – questa sì – veramente incomprensibile. Si potrebbe, anzi, rilevare che per la prima volta un’imposta, questa tanto vituperata Imu, tiene conto in maniera robusta dei carichi familiari, anche se nessuno ha voglia di ammetterlo. Studi circostanziati hanno comunque rilevato che 15 anni fa, prima delle esenzioni di diverso colore adottate, l’Ici era di valore molto superiore, attualizzati gli importi di allora da lire in euro, nel passaggio da Ici a Imu, Imu ideata da Calderoli, tanto per fare un po’ la storia vera.



Al netto di tutto ciò resta solo la propaganda, servita a vincere le elezioni depauperando le casse statali (togliendo l’Ici) e costringendo un governo tecnico a prendere le legnate per porre rimedio (o tentare), dovendo invece un buon padre di famiglia avvertire i figli per tempo del fatto che stanno vivendo al di sopra delle loro possibilità senza promettere sconti o “paghette” che mandano gambe all’aria la baracca.

Nel Pdl c’è ancora la tentazione di cavalcare la demagogia, ma oggi come oggi, quando un accreditato sondaggio assegna al partito di Grillo intenzioni di voto in percentuale addirittura superiori al partito di Alfano non è più il momento di infierire, è il momento di riscontrare semmai generosità e voglia di confronto interno impensabili fino a pochi mesi fa.

Appunto. Può anche far simpatia il Pdl attuale, ma è una simpatia tardiva, che faticherà a far presa, perché non si può per decenni accettare di riunirsi come se fosse normale a casa del capo – vuoi mettere i soldi risparmiati? – e poi scoprire d’un colpo la democrazia, la voglia di andare con le proprie gambe. Non sono più allenate, le gambe, se per troppo tempo ci si è nascosti all’ombra del capo, e quando comandava sul serio si è preferito fare meno fatica. 

Troppa ne sarebbe costata, infatti, tentare un “distinguo”, quando Pisanu si è astenuto, non per difendere Fini (che infatti non ha seguito) ma solo per difendere il diritto a dissentire, ed è rimasto solo, Pisanu, con la sua astensione. E che credibilità ha oggi chi si inventa improvvisamente un’autonomia propositiva e democrazia interna? Ha fatto comodo, Berlusconi, sai quanti casi Penati è stato possibile evitare, con una struttura del genere, senza doversi sporcare le mani in finanziamenti “obliqui”? 

A proposito, il Pd e Bersani – passando alle “rogne” dell’attuale primo partito per i sondaggi – hanno anch’essi le loro colpe. È singolare che il segretario veda l’uomo più vicino a lui, che lui stesso aveva scelto come capo della segreteria (Penati, appunto) incappare in vicende così poco chiare senza pronunciare una parola forte per censurarne i comportamenti. Se poi aggiungiamo che l’altro nome nuovo, Fassina, utilizza il suo ruolo per andare sempre contro la linea del partito emerge con chiarezza la difficoltà di Bersani a dar vita a una squadra credibile dietro di sè.

Tuttavia con l’aria che tira di una legge elettorale che non si riesce a cambiare, se il Pd concretizzerà il ruolo di primo partito che tutti i sondaggi (e i test parziali) le assegnano, a capo di una coalizione vincente alla Camera potrà far uso dei poteri debordanti del premio di maggioranza attuale, e al Senato, dove la musica sarà diversa (visto che il premio di maggioranza di fatto non vige) sarà comunque il primo partito vincente alla Camera a dare le carte, con l’Udc costretta ad allearsi. 

Si spiega così la cautela del partito di Casini dopo le aperture sui temi etici affacciate da Bersani. Una cautela adottata per non far esplodere tutta la potenziale divisità di questi temi fra partiti che in segreto già ragionano sulla necessità (non in campagna elettorale, beninteso, ma subito dopo in Parlamento) di tornare a collaborare come d’altronde già avviene adesso, con Monti.

E il Pdl? Realisticamente ha due strade davanti a sé: o dare l’ok a un nuovo esperimento di larghe intese da riprendere fra un anno, così da attutire il colpo della batosta che si preannuncia (ma il Pd ci starà?), o c’è da mettere in conto un “giro” all’opposizione. Avere avuto un doppio vantaggio clamoroso, come quello concesso nel 2008 dalle urne e da una legge elettorale sciagurata, è una circostanza che raramente – se non utilizzata – consente di rimediare senza prima aver pagato “dazio”. 

Nel frattempo c’è da sperare che Monti non sbatta la testa, perché sennò sulle sue macerie non ci sarà da godere per nessuno. Persino a Grillo, sulle macerie, passerebbe la voglia di ridere.