La riforma delle pensioni ce l’ha chiesta l’Europa, la riforma del lavoro ce l’hanno imposta i mercati, le nuove tasse servivano per mettere il bilancio in sicurezza e tranquillizzare lo spread, mentre austerità e sacrifici sono una richiesta della Merkel. Prese tutte assieme, sono state queste le cause per cui il governo Berlusconi è andato a casa e al suo posto si è insediata l’attuale compagine tecnica. Nel frattempo, la disoccupazione viaggia a livelli record, il calo della produzione industriale pure, lo spread è attorno ai 460 punti base mentre ci accingiamo a sborsare, di tasca nostra, 17 miliardi per salvare le banche spagnole. D’altronde, si tratta della nostra quota di partecipazione all’Efsf. Prevista dagli ordinamenti comunitari. Mica vorremo sottrarci ai nostri doveri? Qualcosa non ci torna. Ne abbiamo parlato con Piero Sansonetti.



Non è che abbiamo ceduto quote di sovranità eccessive?

Abbiamo ceduto la parte essenziale, ma essere un Paese a sovranità limitata non è il principale dei problemi.

Qual è, allora?

Non mi preoccuperei più di tanto se tale cessione da parte degli Stati fosse avvenuta in favore di uno Stato sovranazionale. Il problema è che si è verificata una cessione di sovranità da parte di una democrazia, la nostra, ad una tecnocrazia. Con il conseguente scioglimento della democrazia. Per la prima volta è stato compiuto non tanto un colpo di Stato quanto, potremmo dire, un “colpo di Continente”. E’ stato bypassato il potere politico, mediante un’assunzione diretta del potere da parte dei tecnocrati.



Burocrati, funzionari europei, banchieri, fondi d’investimento, multinazionali: secondo lei chi compone questa tecnocrazia?

Questo genere di ricerca ci è sempre parso poco interessante: la classe dirigente è stata pur sempre espressione dell’ordinamento democratico. Quella nuova, quindi, finora non l’ha studiata nessuno. La risposta, per il momento, quindi, può essere data solamente in termini generici. Direi che l’attuale tecnocrazia è il punto d’espressione dei poteri economici che, per usare termini antichi, possono esser fatti corrispondere alla borghesia europea.

In ogni caso, crede che la tecnostruttura rappresenti un’emanazione del potere economico o si tratta di due poteri che governano assieme?



Mi pare più probabile la seconda ipotesi. Di certo, in questo scenario, la finanza ha un ruolo fondamentale. Ma anche le burocrazie europee hanno il loro peso specifico.

Monti è intenzionato a varare, finalmente, un piano di dismissioni del patrimonio pubblico. In questo scenario, non rischiamo di svendere l’Italia ai gruppi stranieri?

Il rischio è enorme. Va bene vendere il patrimonio pubblico. Ma un conto è dismettere una caserma, un altro regalare Eni, Enel o Finmeccanica alle multinazionali estere. Ci sono probabilità che questo accada. In tal caso, sarebbe una catastrofe per il Paese.

E Monti? In tutto ciò, che ruolo ha?

E’ governato da questi poteri. Senza voler essere offensivo, il suo ruolo è assimilabile a quello di un modesto funzionario di partito.

In Italia da chi è sostenuto?

Dal presidente della Repubblica e da quella che un tempo si chiamava la “borghesia piemontese”. Ovvero, una grossa fetta di Confindustria e di gran parte del mondo che ruoto attorno alla Fiat. Le banche, dal canto loro, che di sicuro lo sostengono, fanno parte del blocco tecnocratico di cui sopra.

E la Germania?

Anzitutto, è l’unico Paese che, attualmente, si sta auto-governando. Ed è quella che ha in mano gran parte dei numeri del gioco.

In questi giorni i timori della fine dell’euro si fanno sempre più intensi. Se la remota eventualità dovesse verificarsi, cosa ne sarebbe di Monti?

La sua epoca finirebbe. 

E in caso contrario?

Monti e il ”montismo” sono destinati a durare ancora diversi anni. Dalle prossime elezioni non emergerà un governo tradizionale. Ci sarà ancora Monti, o qualcuno di analogo, come la Fornero o Passera, tanto per citarne alcuni. Ma scordiamoci la democrazia così come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi. 

 

(Paolo Nessi)