Le idee sono sempre importanti e non bisogna mai averne paura. Anche per questo i quattro giorni organizzati dal giornale La Repubblica in piazza a Bologna non possono che suscitare simpatia. Per il successo di pubblico, per la passione espressa da tanti relatori, per la voglia di cultura e partecipazione. Ascoltare, per citarne due che stimiamo, un Nouriel Roubini sull’economia o un Alessandro Baricco sulla scrittura, è sicuramente qualcosa di bello. È l’ennesima dimostrazione che c’è una voglia non banale di sapere, di cultura, di dibattito democratico, come si diceva una volta. Del resto il Meeting di Rimini ogni anno stupisce anche per questo aspetto. Non è vero che gli italiani abbiano solo interessi biechi o inconfessabili. Non è vero che vanno dietro solo ai partiti del Vaffanculo. Ed è anche vero, come sottolineava ieri mattina un orgoglioso Ezio Mauro, che in un momento di vuoto politico e di crisi economica “chi cercava un partito ha trovato un giornale e i suoi lettori uniti da una certa idea dell’Italia”. E tuttavia proprio qui sta la questione.
Se l’ambizione è quella del partito politico, allora è giusto ragionare su che cosa sia questo partito di Repubblica e che cosa voglia rappresentare nel nostro Paese. Anche se sotto questo aspetto sia sbagliato identificare troppo il giornale direttamente con una lista o un raggruppamento specifico.
Se l’intelligenza è distinzione, vanno infatti distinte le ambizioni di Eugenio Scalfari e anche di Carlo De Benedetti, l’editore del Gruppo Espresso. Scalfari dà l’impressione, in questa fase, di volere rispolverare la vecchia aspirazione, di derivazione azionista, a egemonizzare la sinistra italiana. Si presenta come il Papa straniero che spiega al Pd e ai suoi alleati come vincere e che cosa fare. Lo fa quando viene intervistato da Luca Telese sul Fatto e spiega candidamente l’operazione Saviano-lista civica. E ancora lo fa quando attacca frontalmente Enrico Mentana, presentando la sua presunta candidatura come un pericolo per la democrazia. Colpevole il direttore del Tg La7 di aver pensato ad un largo ai giovani… Scalfari è insomma il Grande Borghese che vorrebbe pedagogicamente raddrizzare l’Italia civile sotto i suoi ideali laicisti e non esita ad ergersi a giudice insindacabile e un po’ velleitario della vita pubblica italiana. Velleitario perché poi in tanti anni non è che le abbia proprio azzeccate tutte.
Poi ci sono le ambizioni di De Benedetti, che è pur sempre l’Editore, l’imprenditore, il padrone, chiamatelo come volete. Ebbene De Benedetti, fatalmente, pensa ad allargare e a garantire il suo potere, il suo impero mediatico. E quindi spera di sfruttare il declino di un intero sistema politico a questo fine. Non è un mistero che abbia ambizioni sulla Rai (in particolare avrebbe messo gli occhi su Raidue…) e su La7. E usa delle capacità di manovra politica di Repubblica e l’Espresso. Insomma niente di cui scandalizzarsi, basta sapere bene di che cosa si parla.
Poi, secondo me, c’è invece il fenomeno della “community” di Repubblica, di quel vasto mondo di lettori e simpatizzanti, che soprattutto coi new media come Facebook, è diventato un luogo di dibattito e confronto anche politico. È un ambiente importante e forse anche fecondo ma non è un partito. E forse non lo vuole neanche diventare. Faccio un esempio: se domani si votasse, magari alcuni si potrebbero orientare su una lista civica guidata, chessò da Scalfari, da un Zagrebelsky o da Saviano, mentre altri orientarsi su un Baricco in lista, poniamo, con Matteo Renzi, per fare un nome non a caso, vista la partecipazione dello scrittore all’ultima convention del sindaco di Firenze.
Se Repubblica resta un giornale di idee, non può essere solo un giornale-partito. Le due anime possono convivere, ma prima o poi, ogni tanto vanno in contraddizione.