Da mesi si dava per scontata la sua candidatura. Ora che è giunto il momento di accettare o meno la sfida – anzi, di lanciarla – Matteo Renzi prende tempo. E inizia a mettere dei paletti. Facendo sapere che prenderà parte alle primarie solo a certe condizioni. Se «saranno libere». Ovvero, niente «albi degli iscritti, preregistrazione e regole strane fatte su misura». Secondo lui, limitazioni di questo tipo potrebbero rappresentare uno stratagemma di Bersani con l’obiettivo di distogliere gli elettori del centrosinistra dal voto. Soprattutto, quelli che, potenzialmente, voterebbero il sindaco di Firenze; che, in ogni caso, a quanto ci spiega Peppino Caldarola, può stare tranquillo. Nessuno è intenzionato a cambiare le regole del gioco.



Secondo lei, la richiesta di Renzi è giustificata?

Le primarie di coalizione, a dire il vero, fino ad oggi si sono svolte secondo logiche sufficientemente trasparenti. Si sono sempre basate sulla partecipazione di tutti cittadini che, versando una somma minima, potevano accedere al voto. In sostanza, non ci sono altre regole. Sono sempre state fatte così e non vedo cambiamenti in vista.



Renzi contesta anche l’ipotesi del doppio turno: primarie di partito in un primo momento, di coalizione, in un secondo

Ma è molto meno di un’ipotesi. Bersani, ad oggi, pensa prevalentemente alla primarie di coalizione. Ha posto il problema del doppio turno chiedendosi se non sia meglio che lo scontro finale consista in un faccia  a faccia tra due candidati. Ma niente di più. Non risulta nessuna proposta concreta né alcun impegno, in tal senso, da parte della direzione. 

In ogni caso, Renzi quante chance avrebbe di vincere?

Molte. Si presenta come un candidato che ha dalla sua l’età e l’essersi tenuto distante dalla politica nazionale degli ultimi anni. Ha anche degli handicap, ovviamente. Mentre di Bersani sappiamo tutto, gli orientamenti di Renzi su svariati temi, quali quelli economici, sono ignoti. Dovrà strutturare la sua posizione, e decidere se affidarsi unicamente alla sua carica giovanilistica o dotarsi di qualche contenuto.



Chi lo voterebbe nel centrosinistra?

Nel Pd si combattano due anime. Una più movimentista che pensa ai partiti come un peso di cui liberarsi; e un’altra che crede che il Pd debba essere, ancorché moderno e il più aperto possibile, un vero e proprio partito, come nel resto dei Paesi occidentali. Semplificando schematicamente, possiamo dire che alla prima fazione fa riferimento l’area prodian-veltroniana, alla seconda i piddini di “rito” diessino e popolare.

Se Bersani vince, una forte affermazione di Renzi potrebbe delegittimarlo?

Non credo. Siamo in una di quelle partite in cui vince chi ottiene un punto in più. L’importante è che lo sconfitto riconosca di essere tale. La quantità dei suoi voti potrà essere indicativa per il suo futuro politico. Per il presente, conta solo il vincitore.

Quali carte si può giocare Bersani ottenere il massimo dei consensi?

Quella, anzitutto, del dirigente tranquillo che ha dimostrato, in questi anni, di poter soddisfare sia il senso d’appartenenza della sinistra che la partecipazione dei moderati. Può rappresentare una soluzione alla Hollande: un uomo abbastanza di sinistra ma non abbastanza per respingere il voto moderato. Del resto, in Italia, la sinistra è stata ormai sostituita, come concetto, dal centrosinistra. Rispetto alla sfida tra Renzi e Bersani, infatti, ragioniamo sulle rispettive accentuazioni. Renzi sottolinea la componente liberal-liberista, mentre in Bersani è più forte una cultura regolatrice, tipicamente socialdemocratica.

Due anime così diverse possono convivere o, prima o poi, il conflitto è destinato a deflagrare?

Non mi pare che, al di fuori del Pd, ci siano molte possibilità di sopravvivenza politica. In occidente, quando si fronteggiano due opzioni, lo fanno molto duramente ma, alla fine, sopravvivono. La speranza, quindi, è che lo scontro sia aperto in modo che chi parteciperà alla primarie potrà scegliere liberamente e in coscienza la propria opzione.

 

(Paolo Nessi)