Tutto rinviato alla prossima settimana, a martedì 26 giugno, segno che l’accordo ancora non c’è. In teoria il giorno della verità dovrebbe essere giovedì 21 giugno. Sergio Zavoli ha convocato la commissione parlamentare di vigilanza per procedere alla nomina di sette consiglieri d’amministrazione della Rai, destinati ad aggiungersi ai due nomi indicati dal Tesoro, cioè da Monti, Marco Pinto e Anna Maria Tarantola, quest’ultima destinata a succedere a Paolo Garimberti alla presidenza di Viale Mazzini.
In teoria, appunto. La pratica è tutt’altra cosa. E la pratica, nel caso della prima azienda culturale del paese (ma anche di quella che tradizione vuole più clientelare di tutte) è di una ferrea presa dei partiti e di una lottizzazione con il bilancino del farmacista.
Ma in tempo di antipolitica imperante sedersi al tavolo della spartizione della torta Rai fa brutto, e allora i partiti si sono chiamati fuori, o meglio stanno facendo finta di farlo, dando spazio a 272 curricula, in nome di una trasparenza più formale che sostanziale. Il PD ha trovato una scappatoia volpina al vicolo cieco in cui Bersani si era cacciato con la dichiarata volontà di restare “fuori dalla RAI”.
Ne era scaturita una mezza sollevazione interna, che Bersani ha aggirato affidando l’indicazione alle associazioni culturali di area, da cui sono emersi i nomi di Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo. Nomi degnissimi, ma in molti, anche dentro lo stesso PD, si chiedono quali siano le competenze specifiche in materia di radio televisione dei fortunati prescelti. E visto che neppure di Tarantola e Pinto si può parlare come di specialisti del settore viene da chiedersi chi comanderà davvero al settimo piano del palazzo del Cavallo.
E in più – Di Pietro lo ha detto chiaro – sempre di lottizzazione si tratta, anche se con il paravento della cosiddetta “società civile”. E allora vediamo cosa si muove presso gli altri partiti, che non hanno meno diritto del PD a lottizzare. Secondo i rapporti di forza (chiamatelo manuale Cencelli del XXI secolo) tre posti spettano all’area PDL/Lega, 2 ai democratici e 1 ciascuno a UDC e Italia dei Valori. La più tranquilla sembra l’UDC, che è ormai orientata alla riconferma di Rodolfo De Laurentis, mentre in area PDL corre per la riconferma anche Antonio Verro, che ha pure rinunciato nei mesi scorsi a un seggio da deputato. Poi si sussurra il nome dell’ex ministro Giancarlo Galan, di Antonio Pilati considerato ideatore della legge Gasparri, e di due dirigenti Rai di lungo corso, Guido Paglia, area ex AN, Rubens Esposito, già capo dell’Ufficio legale.
Ci sono poi le incognite di dipietristi e leghisti, orientati a non indicare nomi per davvero, a meno di non farlo in tono provocatorio, ad esempio puntando su un Santoro o un Freccero.
Di sicuro da questa contesa i partiti non ne escono bene, perché alla fine lottizzazione sarà, ancora una volta, anche se con le foglie di fico di procedure in apparenza più trasparenti che in passato. Un’occasione è stata persa per riformare la radiotelevisione pubblica, ma non adesso, a gennaio quando Monti tentò di porre la questione all’ordine del giorno, forse troppo timidamente.
Probabile che in una situazione tanto sfilacciata le chiavi del futuro dell’azienda di Viale Mazzini rimarranno nelle mani di Luigi Gubitosi, già indicato come futuro amministratore delegato con scarso rispetto dei tempi e delle procedure.
Gubitosi si porta dietro dai tempi di Wind la fama di “uomo delle forbici”, e in Rai lo attendono con il fucile spianato. Ma anche qui c’è un’incognita: se per caso i malesseri di molti – a cominciare dal Pdl – non si dovessero scaricare su di lui nel momento in cui la sua indicazione dovrà essere ratificata dalla commissione di vigilanza. Un’eventualità che i nostalgici di Lorenza Lei non si sentono oggi di escludere del tutto.