L’amico, filosofo e mio grande maestro Dario Antiseri ha lanciato dalle colonne del Corriere della Sera una salutare provocazione: i cattolici escano allo scoperto e si uniscano in un nuovo partito fondato sulle idee e le proposte di Luigi Sturzo. Un invito che, dal punto di vista delle idee, mi appare tanto condivisibile quanto necessario. L’essere cattolico, ovviamente secondo la vocazione di ciascuno, non può che voler dire impegnarsi nella società, praticare e testimoniare il grande valore della dignità della persona, cercare di costruire una realtà basata sulla dimensione della fraternità.



Sul fronte delle idee, dei valori, dei principi l’impegno politico non è solo una conseguenza o un’opportunità: è il compimento di un dovere che si può esplicare giorno per giorno solo in un confronto diretto e costruttivo con la realtà in cui viviamo. Anche il costruire un partito può essere visto in questa dimensione: come l’unire le forze per raggiungere concretamente degli obiettivi che attualmente i cattolici («presenti ovunque, inefficaci dappertutto», come efficacemente afferma Antiseri) singolarmente, e costretti a fare i portatori d’acqua in formazioni eterogenee, non possono riuscire ad ottenere.
E infatti «in politica – come mi ha detto recentemente in una intervista il card. Angelo Scola – i cattolici devono essere consapevoli di avere una superiorità originaria, una superiorità che deve richiamare una particolare responsabilità». 
Ma allora che cosa impedisce ora, nell’Italia di oggi, che cosa impedisce di riprendere in mano le grandi intuizioni di Sturzo, intuizioni che sarebbero di straordinaria attualità con la lotta allo statalismo, agli sperperi, alla corruzione e soprattutto con la sua battaglia per costruire una società che dando spazio alla libertà di ciascuno possa garantire la giustizia sociale di tutti?
C’è un piccolo (e insieme grande) ostacolo. Antiseri giustamente punta il dito accusatori sui cattolici di oggi, su quella classe dirigente che nella seconda Repubblica ha mantenuto posizioni di potere ma non saputo (o voluto) giocare con forza la specificità del messaggio cristiano e puntare con coraggio sulla profezia della dottrina sociale. Ma il vero problema è la continuità di questi cattolici di ieri con quelli degli ultimi anni della Prima repubblica. Perché un partito cattolico c’era, si chiamava Democrazia cristiana, e ha avuto un ruolo fondamentale nel porre le basi di una modernità reale in una società aperta, basata sul rispetto, sul dialogo e sulla passione sociale.



Ma la Democrazia cristiana ha dissipato negli anni il proprio patrimonio culturale e la propria incidenza morale. Ha saputo resistere agli attacchi brutali del terrorismo che ne ha colpito gli uomini di punta, ma ha pagato un caro prezzo: l’incapacità di restare fedele ai propri valori originari. E’ così che i cattolici sono diventati complici dell’affarismo socialista, hanno ceduto alle logiche clientelari degli anni ’80 e ’90 (gli anni in cui si è formata la montagna del debito pubblico), hanno mancato le occasioni della buona politica per esempio continuando a mantenere una scuola e una università fondate sui docenti e non sugli allievi.
E poi, chiusa l’esperienza del partito cattolico non è terminata l’era della complicità: di volta in volta, complici a sinistra con il giustizialismo ideologico, complici a destra con il degrado morale e istituzionale.
In queste condizioni, pur a malincuore, pensare a un nuovo partito cattolico appare altrettanto illusorio quanto velleitario. Perché la storia pesa, così come pesa quella che possiamo chiamare reputazione. E la reputazione dei cattolici in politica, come sottolinea lo stesso Antiseri, non è certo attualmente delle migliori.
E allora? Bisogna rassegnarsi ad essere insignificanti? Bisogna ritirarsi di fronte alla disarmante attualità della lotta tra politica e antipolitica? Sicuramente no. Ma il corso della storia lo si può cambiare solo con una appassionata partecipazione alla realtà. E aiutando una nuova generazione di cattolici ad usare tutti gli strumenti, le iniziative e le capacità per costruire una presenza viva all’interno della società. Magari senza essere presenti dappertutto, ma cercando di essere efficaci dovunque si riesca ad essere.
Questo in fondo per dire che Dario Antiseri, come tutti i maestri, ha certamente ragione, ma il suo è un richiamo più profetico che pragmatico: perché partendo dalla realtà attuale il (ri) costruire un partito dei cattolici può essere (secondo il parere di un suo modesto allievo) più un obiettivo da non perdere di vista, che un punto di partenza. 

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