Da ore, dopo lo “sgub” alla Biscardi, su una presunta indagine nei confronti del Governatore della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, si cerca di comprendere la consistenza e la verità della notizia. Esce il Corriere della Sera in mattinata, con un taglio centrale “incerto” e sottile graficamente, poi Formigoni replica con una conferenza stampa, alla fine arriva l’Ansa, agenzia nazionale, e l’AdnKronos che confermano le artistiche notizie raccolte in esclusiva dalla corazzata di via Solferino.
Diceva il Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, che le “primizie” del Corriere della Sera erano dovute a un fatto amoroso: “Il gatto del portinaio del Palazzo di giustizia di Milano si era innamorato della gatta della portineria di via Solferino. E’ da questo che nascevano in anticipo le indiscrezioni sulle inchieste giudiziarie”.
Meno ironico di Cossiga, è oggi un grande ex direttore del Corriere della Sera, Piero Ostellino, che è invece quasi indignato e anche rassegnato.
Come è possibile che accada una cosa del genere e non si abbia conferma ancora nel pomeriggio del giorno dopo?
Ma la questione è semplicissima, A fare i processi oggi sono i giornali e quindi un fatto come questo è del tutto normale. Si fa per dire…
Ma in questo Paese esiste ancora la certezza del diritto?
La certezza del diritto è un fatto troppo importante e impegnativo in un Paese come questo, ormai. Il fatto è che non esiste nemmeno più il diritto. Siamo passati, nel giro di pochi mesi, da essere uno dei Paesi più democratici del mondo, a essere un Paese che si sta ingegnando per trovare una soluzione per evitare le elezioni. Qui non è in discussione il risultato delle elezioni, che vinca la destra, la sinistra o Grillo. Può vincere chiunque, ma le elezioni sono un fatto democratico e basta. Evidentemente le elezioni, in questo Paese, sono un fatto democratico a seconda di chi le vince e di chi le perde. Quando si arriva a dire che le elezioni sono un rischio, a che cosa si deve pensare?
Come si può definire un fatto come questo?
Resta l’impressione di un Paese che è per metà fascista e per metà comunista, con tutte le dovute distinzioni che si devono fare oggi. Si ripete in un certo senso la giornata e la notte tra il 24 e il 25 luglio 1943, quando si discuteva nel “Gran consiglio” del fascismo l’ordine del giorno di Dino Grandi. Aspettano di vedere chi vincerà e poi si schiereranno da una parte o dall’altra, con passaggi e travasi da un’ideologia all’altra.
E’ un’analisi impietosa della situazione del Paese.
Che dire di differente? Siamo un Paese dove c’è il peggior giornalismo del mondo. Colonne di editoriali dove non esistono notizie e si evitano accuratamente discussioni e verità. Sto parlando anche del giornale dove ancora sto scrivendo. Siamo in un Paese dove la magistratura si è definita “magistratura democratica”. Siamo in un Paese dove oggi ci si indigna, a destra e a manca, per le intercettazioni sull’attuale Presidente della Repubblica.
Lei che ne pensa al proposito?
Io non voto da anni, da oltre venti anni. Non mi interessa nulla di Silvio Berlusconi, al punto che non lo ho mai votato. Non sono affatto contro il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Ma vorrei che qualcuno mi spiegasse perché oggi ci si indigna perché ci sono queste intercettazioni, mentre nessuno sollevava obiezioni, anzi c’era quasi entusiasmo, quando si intercettava il presidente del Consiglio Berlusconi. Vorrei solo una spiegazione di questo differente atteggiamento.
C’è chi vuole ricostruire la storia dei rapporti tra Stato e mafia.
Bene. C’è un magistrato che apre un’inchiesta, un’indagine sui rapporti tra Stato e mafia dove non c’è reato, per conoscere la storia di queste relazioni pericolose. Ma in genere, chi ricostruisce la storia? Gli storici. No, in questo Paese è un compito che si arrogano i magistrati.
Ritornando al caso di Roberto Formigoni?
Se ci sono elementi si apra un’indagine. Ma che cosa c’entrano i giornali in tutta questa storia?
Alla luce di quello che sta dicendo, come vede il futuro di questo Paese?
Sta letteralmente crollando e alla fine crollerà. Oltre ai fatti di cui abbiamo parlato, siamo il paese dove si pagano le tasse più alte del mondo, dove le imprese falliranno a catena. Come finiremo? Come gli assiro-babilonesi, una civiltà che lentamente scompare. E ci sarebbe ancora il modo di salvarlo. Basta ragionare con il popolo, come fa la gente comune, che è carica di buon senso. In fondo, in Italia è sempre stato così. Chi ha salvato nel 1948 l’Italia dal rischio di diventare una sorta di “Germania dell’Est”? Il popolo normale, le “beghine” che uscivano dalla chiesa e andavano a votare. Fosse stato per gli intellettuali, per la cosiddetta classe dirigente, avremmo passato i peggiori anni della nostra vita.
(Gianluigi Da Rold)