Caro direttore,
Il Corriere della sera e IlSussidiario.net, da angolature diverse, ma con uguale incisività, in questi ultimi giorni hanno ospitato una serie di interventi su uno stesso tema: il ruolo dei cattolici nell’attuale panorama politico italiano. Un tema che ad alcuni appare cruciale anche ai fini di future alleanze politiche, ma che suscita in molte persone una sensazione di stanchezza e di noia: come se tutto fosse stato già detto, tutto già noto. Eppure il ruolo politico dei cattolici, la loro irrilevanza o la loro capacità di incidere nei processi decisionali definisce un paradigma con cui tutti debbono comunque confrontarsi.
Proprio ieri Mons. Crociata, parlando agli assistenti spirituali della gran maggioranza delle Associazioni cattoliche, ha sottolineato con chiarezza, a tratti perfino con durezza, la coerenza con cui tutti i cattolici debbono vivere la loro vocazione cristiana. Ha espresso una condanna secca di ogni forma di corruzione, senza concedere alibi di sorta. Dai cattolici ci si attende una testimonianza della loro fede, incarnata nella concretezza dei loro ruoli tutti, nessuno escluso. Da quello politico a quello professionale, dal piano personale a quello familiare. E’ la pre-condizione per non essere irrilevanti, peggio ancora per non dare scandalo, contribuendo al processo di corrosione della linfa etica del nostro Paese.
Non si può presupporre la fede, ma neppure la capacità di testimoniarla; occorre riproporselo giorno per giorno, affrontando il confronto, le diversità reciproche, le contraddizioni potenziali che ci sono in ognuno di noi e tra di noi. Questa è la prima, anche se non l’unica, mission del cattolico, chiamato comunque a fare rete, a creare consenso sui valori in cui crede, a recepire tutto il bene che può scaturire da persone che hanno posizioni diverse. Non si può ragionare del ruolo dei cattolici in politica senza partire da qui: dall’essere realmente cattolici e dal non temere di apparirlo e quindi di testimoniarlo nelle diverse circostanze. Ma questo, come dicono i matematici, è condizione necessaria e non sufficiente.
Da quando si è concluso il tempo del partito dei cattolici, quello della Democrazia cristiana, ed è iniziata la diaspora dei cattolici in tutti i partiti, i cattolici hanno cercato di capire come essere presenti in coalizioni diverse, vivendo questa appartenenza con lealtà e capacità di collaborazione, senza perdere il senso di un’altra e diversa appartenenza: quella marcata dai valori della propria fede, assunti con libertà e responsabilità. Alla domanda che spesso ci si pone: si può essere presenti da cattolici in tutti gli schieramenti, la risposta non può che essere positiva. Si può essere cattolici stando in ogni partito, solo se non si dimentica di essere cattolici e non si fa pagare sempre e solo alla propria cattolicità il costo delle diverse mediazioni che la politica sollecita.
Uno degli interrogativi che con maggiore frequenza debbono affrontare i cattolici impegnati in tanti settori della vita del Paese riguarda le possibili convergenze e le divergenze che emergono tra le loro reciproche posizioni, quando si accingono a valutarle alla luce dei principi etici fondamentali. Non è sempre facile comprendere le ragioni che sono alla base di scelte politiche diverse, basate su di una diversa valutazione degli stessi fatti, che una volta interpretati in modo diverso possono generare comportamenti diversi, modificando le proprie prospettive.
L’attuale quadro politico-economico solleva un quesito importante per i cattolici: capire in che cosa si possa identificare il patrimonio culturale di quanti di loro intendono testimoniare la propria fede anche nello spazio pubblico. La crisi che stiamo vivendo impone nuove modalità di collaborazione, per affrontare uniti le difficoltà economiche che assediano la vecchia Europa. Ognuno degli schieramenti, cominciando dai partiti che ne fanno parte, deve sforzarsi di privilegiare un’analisi comune e condivisa dei bisogni per selezionare accordi programmatici in grado di soddisfare più, prima e meglio le esigenze che appesantiscono le famiglie italiane, le piccole e medie imprese che costituiscono l’ossatura imprenditoriale del nostro Paese.
I cattolici debbono imparare a collaborare in forme nuove, secondo modelli nuovi, con tutte le persone che desiderano realmente portare il Paese fuori da questa palude, che sembra attrarre cose e persone in un vortice che crea ansia e preoccupazione, assai di più di quanto non accenda la sua speranza. Una risposta, semplice e complessa al tempo stesso, è offerta dalla dottrina sociale della Chiesa, che è una sorta di cattedra continua che aiuta ad analizzare i problemi politici e sociali per rendere giustizia all’uomo, a tutti gli uomini, di qualunque condizione sociale. La Chiesa con il suo insegnamento in campo sociale svolge un ruolo profetico, e a distanza di anni, di decenni e perfino di secoli colpisce la lucidità di certe denunce, il coraggio di certe affermazioni e la bellezza di certe prospettive.
La crisi di valori che il Paese attraversa, l’immobilismo con cui resiste ai processi di trasformazione, nonostante l’evidente necessità di cambiare ritmo e modelli organizzativi e gestionali, crea una resistenza ostinata a riforme coraggiose che restituiscano ai giovani la capacità di mettersi in gioco senza abbandonare gli anziani, ad una distratta politica sociale. C’è il timore che il Paese di fatto sia ostaggio da alcune lobby potenti o di molteplici piccoli gruppi di potere, davanti ai quali i cattolici non sanno prendere una posizione chiara e forte, lottando contro l’arroganza dei prepotenti e contrastando una corruzione, oscura e strisciante, che lo aggredisce come un vero e proprio cancro. I cattolici, per non essere irrilevanti, prima di tutto hanno bisogno di essere cattolici in modo coerente e poi di aprirsi alle collaborazioni che i nuovi modelli di governo possono generare, con una premessa forte in fase programmatica.
Ci può essere un accordo sostanziale su molte cose, ma non su tutte e a nessuno può essere chiesto di mediare con la propria coscienza. E la coerenza con la propria visione cristiana va declinata senza eccezioni, deve assumere quella fermezza che non cede davanti a proposte inconciliabili con la propria fede, accettando di mettersi in gioco secondo quelle logiche democratiche, che spingono il cattolico a non chiudersi in se stesso, a fuggire dai castelli medioevali con ponte levatoio alzato. Il cristiano è per definizione un soggetto aperto, capace di misurarsi con sfide culturali ed intellettuali assorbendo tutto il meglio che incontra per strada e trasmettendo tutto il meglio che possiede nella sua storia e nella sua tradizione.
E’ la prossima sfida dei cattolici politicamente impegnati: ora e nella prossima legislatura. Fare alleanze programmatiche chiare con tutti coloro che accettano di lavorare insieme per il bene del Paese. Alleati, ma non schiacciati su posizioni divergenti o peggio ancora contrastanti con principi e valori; alleati tanto più affidabili quanto più coerenti, impegnato secondo il monito evangelico che afferma: “Sono venuto a servire e non ad essere servito”, pronti a cedere su ciò che appartiene loro, ma non sulla verità di certi principi.
Siamo sollecitati a misurarci con questa sfida senza ingenuità e senza superficialità, senza arroganza e senza presunzione, sentendoci impegnati insieme agli altri a tirare fuori il Paese con un lungo faticoso tiro alla fune, per trascinare la rete in cui sono tante persone oggi in difficoltà, verso migliori spiagge e maggiori opportunità.