Il disprezzo della politica tradizionale, la volontà di sbaragliare i partiti classici, un linguaggio al di sopra delle righe, l’insulto sistemico degli avversari, e la capacità di intercettare il malumore più viscerale incanalandolo in un’architettura, tutto sommato, costituzionale: gran parte delle peculiarità del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo a molti ricorda la Lega dei primi Anni ’90. La quale, fin da subito, tuttavia, riuscì ad eleggere amministratori locali che, nel tempo, hanno dimostrato di sapere governare le realtà che gli erano state affidate con successo. Non si può dire lo stesso, almeno per ora, dell’unico sindaco grillino di una città importante emerso dalle scorse amministrative. Ci son voluti addirittura quasi 40 giorni prima che Federico Pizzarotti riuscisse a comporre la Giunta comunale di Parma. Come se non bastasse, prima ancora di prendere possesso del proprio ufficio, l’assessore all’urbanistica, Roberto Bruni, si era dimesso dopo la diffusione della notizia del fallimento della sua azienda e per il suo coinvolgimento in alcune irregolarità edilizie, mentre, ad oggi, non è stato ancora deciso chi sarà l’assessore al Welfare. Abbiamo chiesto a Peppino Caldarola se, effettivamente, i due partiti siano commensurabili.
Trova che tra la Lega degli inizi e l’M5S vi siano delle analogie?
Entrambi i movimenti hanno presentato fin da subito, forti tratti che, più che antipolitici, sono anti-sistema, il radicamento al nord e la presenza di un leader carismatico che non può essere messo in discussione. Nella Lega Nord, fino agli scandali recenti, è sempre stato Umberto Bossi. Nel Movimento 5 Stelle è Beppe Grillo.
Quali sono, invece, le differenze più vistose?
Quelle principali riguardano il modo in cui i due movimenti sono organizzati. Il Movimento 5 Stelle si muove combinando la territorialità all’uso della rete. La Lega, invece, anche all’inizio, si è contraddistinta per un’organizzazione tradizionale, fondata su strutture territoriali pesanti, con apparati e funzionari.
Mettiamo, invece, a confronto la vocazione ad amministrare il territorio
Il Carroccio, nel corso del tempo, ha selezionato una classe dirigente locale che, in moltissimi casi, si è rivelata assolutamente adeguata; penso a sindaci come Tosi o Fontana che hanno ottenuto riconoscimenti e manifestazioni d’apprezzamento da entrambe le parti. Nel caso del partito di Grillo, invece, gli inizi mi sembrano molto più farraginosi e dilettanteschi di quelli dei leghisti della prima ora.
Come se lo spiega?
Non esistono “nativi” leghisti, ovvero personaggi sorti dal nulla, in una determinato territorio e in una fase storica precisa, privi di collegamenti con mondi precedenti. Nel movimento sono confluiti diverse personalità che avevano avuto esperienze di un certo tipo, magari all’interno della Dc, o provenienti dal mondo dell’imprenditoria. L’M5S, invece, punta fondamentalmente sugli sconosciuti, sugli “inesperti” e sulla giovane età.
Crede che le differenze di fondo possano riguardare anche la logica delle alleanze?
Certamente. La Lega ha sempre avuto in testa una strategia di alleanza. Anche quanto parlava con toni forti di secessione, per dare una bandiera alle propria gente, si è sempre immaginata in connessione con altre forze politiche. Prevalentemente con il centrodestra, salvo una fase, all’indomani della caduta del primo governo Berlusconi, in qui si è alleata anche con il Pds di D’Alema. Il Movimento di Grillo, invece, oltre ad essere antisistemico è anche antipolitico. E sembra intenzionato a rimanere da solo. Il che rende indecifrabile il suo obiettivo. Come intende governare il Paese? D’altro canto, queste caratteristiche lasciano aperti numerosi interrogativi anche sul proprio modello decisionale.
Cosa intende?
Ogni decisione sembra delegata a questa sorta di cerchio magico di cui fanno parte Beppe Grillo e il suo guru di fiducia.
E’ pensabile i grillini possano governare una città possa riuscirci senza abbandonare questo modello?
E’ molto difficile. Anche nell’ipotesi auspicabile che i sindaci grillini si rivelino dei talenti, il modo in cui sono collegati al proprio centro politico di comando, attraverso la rete, ricorda più il Grande Fratello che una democrazia. Il carattere stentato della sorti di Pizzarotti è anche frutto del severo controllo che al di fuori di Parma viene esercitata sulle sue mosse. Si ha l’impressione di personaggi eterodiretti. Intendiamoci: capita in tutti i partiti – e spesso – che le strutture centrali riescano a sopraffare quelle locali. Nel caso del grillismo, tuttavia, il centro in questione non è sottoposto ad alcuna verifica, salvo quella della rete. Che può esser considerata una delle forme della democrazia. Ma non è la democrazia.
A quali condizioni l’M5S potrà esprimere una classe dirigente locale?
Credo che in questa prima scrematura dovuta alla crisi dei partiti tradizionali assisteremo al sorgere di personaggi nuovi e di probabili talenti. Si tratta pur sempre di persone che stanno lavorando sul territorio, con una certa passione politica. Se tale selezione potrà portare alla nascita di una classe dirigente, tuttavia, è troppo presto per dirlo.
(Paolo Nessi)