Abbracci e lacrime. Il rito della successione leghista si è concluso oggi, nel secondo giorno dei lavori del Congresso federale padano, tra la commozione generale dei protagonisti e delle comparse che hanno calcato il palcoscenico del Forum di Assago. Una sceneggiatura lunga e complessa, non esente da colpi di scena, nonostante il finale già scritto. In primo piano Roberto Maroni, l’erede acclamato da gran parte del popolo della Lega, poi Umberto Bossi, il re deposto, che da leone ferito non ha rinunciato a mordere. Infine, Roberto Calderoli in veste di ambasciatore e Luca Zaia, governatore del Veneto, nei panni del severo giudice. La base c’è, anche se non con numeri da capogiro e chiaramente divisa in due fazioni, con gli striscioni pro Senatùr (“Un solo capo, Bossi”, “Il Veneto è con te” e il reguzzoniano “Busto è con Bossi”) a bilanciare l’affetto dei maroniani per il nuovo segretario.
Convitato di pietra fino al suo primo ingresso in sala (nel video di presentazione nemmeno un fotogramma per lui, a differenza addirittura del vecchio ideologo Gianfranco Miglio) Umberto Bossi viene solamente evocato dai primi interventi di Francesco Speroni, Gianpaolo Dozzo e Federico Bricolo (uno dei pochi “cerchisti” sopravvissuti, più volte costretto a parlare sopra i fischi delle tribune) suscitando i timidi cori dei bossiani e qualche brusio. Poi viene il turno di Cota, Zaia e Gibelli in rappresentanza delle tre principali regioni del Nord. «Se siamo qui oggi è perché qualcosa non ha funzionato – dichiara il presidente della Regione Veneto -. Inutile parlare di complotti. Quando si sbaglia bisogna chiedere scusa, cospargersi di cenere il capo e ricominciare a lavorare».
Parole pesanti come pietre, su cui si consumerà uno degli scontri interni più accesi. Quando il fondatore della Lega, infatti, prende la parola, la tesi sui recenti scandali che hanno colpito il movimento padano è diametralmente opposta. «La Lega andava fatta fuori – dice Bossi dopo aver raggiunto il palco, scortato da Calderoli -. Il complotto è stato studiato a tavolino dai “farabutti romani”, ma qualcuno da dentro ha aperto la fortezza…». Ma gli attacchi del Capo non si fermano qui: «Qualche imbecille della Lega gira ancora con il tricolore…» (secondo i più una frecciata avvelenata per il sindaco di Verona, Flavio Tosi); «c’è chi farebbe bene a stare tranquillo piuttosto che continuare ad agitare le scope, visto che poi si fa pagare l’autista dalla Lega». Quando però l’ira del Senatùr si scaglia sul nuovo statuto, appena approvato, tocca a Zaia intervenire per difendere l’onorabilità dei lavori congressuali. E così il fondatore decide di abbandonare il palco e di ritirarsi nelle sue stanze, mentre i lavori riprendono a fatica con i “traghettatori”, i triumviri Manuela Dal Lago e Roberto Calderoli.
È l’ex ministro per la Semplificazione normativa a gettare acqua sul fuoco: «Tenere uniti Bossi e Maroni è stata un’impresa a cui ho dedicato tutti i miei sforzi. Purtroppo, molta gente di notte distruggeva quello che riuscivo a costruire di giorno, raccontando bugie all’uno e all’altro, in buona e in cattiva fede. Io ho sempre avuto chiaro che senza uno dei due la Lega non sarebbe più stata la stessa. Ci siamo riusciti, ma oggi dobbiamo assolutamente voltare pagina. Politicamente – continua Calderoli – Maroni ha una marcia in più di me. È giusto che vada avanti lui, ma Bossi rimarrà segretario federale a vita perché senza di lui non saremmo qui..».
Ed è in questo clima decisamente rasserenato che il candidato unico alla segreteria può finalmente prendere la parola, salutato dall’ovazione dei militanti: «Ho vissuto tutte le stagioni della Lega, fin dall’inizio – esordisce l’ex ministro dell’Interno -. Non me l’ha detto il medico di fare il segretario, quindi: “patti chiari, amicizia lunga”. Se mi eleggerete sarò un segretario a tutti gli effetti e con pieni poteri…».
Non esiste una “nuova Lega” chiarisce poi Maroni, ma il partito dovrà tornare a occuparsi dei problemi della gente, cercando di recuperare la credibilità perduta. Il Carroccio proverà a essere il primo partito del Nord, forte della sua rete di “sindaci guerrieri” (la cosiddetta “Lega dei tombini” già evocata da Zaia). Per questo il vecchio slogan “Via da Roma” potrà diventare realtà valutando l’ipotesi di rinunciare alle prossime elezioni politiche. «Mario Monti – prosegue Maroni – è il nemico numero uno delle Lega e non sono possibili alleanze con chi lo sostiene». Guerra all’Imu, patto di solidarietà del Nord in difesa degli esodati, regionalizzazione del debito, abbattimento del carico fiscale sulle imprese e della spesa pubblica, taglio di 10 ministeri le sue prime proposte concrete da nuovo leader. Infine la replica al Senatùr. «Tutto quello che è successo nella Lega non si spiega con i complotti. Non piangiamoci più addosso, voltiamo pagina… Alla Lega devo tutto e sogno di riportarla ai gloriosi successi raggiunti da Umberto Bossi».
Il Capo, nel frattempo, ha raggiunto nuovamente il palco e dopo aver salutato il suo successore cita la Bibbia, in lacrime, raccontando l’episodio del Re Salomone, in cui la madre del bambino conteso rinuncia a suo figlio pur di non vederlo tagliato a metà.
Le polemiche lasciano posto alla commozione generale, anche se le rivalità interne e le differenze sembrano soltanto sopite e pronte a divampare alla prossima occasione, nascoste dalla cenere di un abbraccio collettivo. La Lega Nord da oggi ha un nuovo segretario, ma chi credeva che il Senatùr si sarebbe fatto da parte, dovrà rivedere i suoi piani.
(Carlo Melato)