Il primo scoglio è superato, ma la navigazione di Anna Maria Tarantola verso il controllo della Rai potrebbe riservare ancora molte brutte sorprese. La ex vice direttore della Banca d’Italia ha avuto la designazione a presidente dell’ente radiotelevisivo pubblico con grande fatica, la stessa che dovrà mettere per domare un Cavallo, quello di viale Mazzini, sempre più imbizzarrito.



Il primo braccio di ferro l’ha vinto con l’astuzia, non presentandosi alla seduta d’insediamento del nuovo consiglio d’amministrazione: in quel modo i consiglieri di area Pdl sono stati messi con le spalle al muro: quattro contro quattro, sarebbe stata loro responsabilità se la Tarantola non fosse stata designata alla presidenza. E infatti è finita con sette favorevoli ed un solo astenuto, il consigliere Antonio Verro, che alla vigilia aveva fatto sapere via radio che non avrebbe mai votato a favore dei poteri speciali al presidente.



E’ questo il vero cuore dello scontro: l’intenzione di forzare le regole vigenti, con la benedizione di Palazzo Chigi, ed attribuire al presidente della Rai il potere di firmare dei contratti sino a 10 milioni di euro e – contemporaneamente – di procedere a tutte le nomine, escluse quelle per le direzioni di rete e di testata, su semplice proposta del direttore generale. L’assenza della Tarantola è stata vista per questo come una sorta di “prendere o lasciare”, non solo la carica, ma anche le deleghe estese, tanto estese da far paura in un mondo di equilibri delicatissimi come la Rai.



Si tratterebbe di un esautoramento di fatto del consiglio di amministrazione, per come l’abbiamo conosciuto tanto nella Prima, quanto nella Seconda Repubblica. Peggio: “Sarebbe come chiudere il parlamento”, aveva fatto sapere Verro. E il Pdl non ci sta, l’ala dura dei berlusconiani punta a far scendere il limite per i contratti a 5 milioni, e a cassare l’allargamento dei poteri sulle nomine.

Prossimo ostacolo da superare per la navicella della Tarantola il parere vincolante della commissione parlamentare di vigilanza, che Sergio Zavoli ha convocato per giovedì pomeriggio. Servono i due terzi dei voti, lì si capirà quanto il Pdl è disponibile a tirare la corsa, perché insieme alla Lega i numeri per bloccare tutto ci sarebbero. 

Tanto per capire quanto è tesa la situazione basti sapere che il capogruppo Pdl in Vigilanza, Butti, ha chiesto – invano – un’audizione della Tarantola prima del voto. I leghisti ed il radicale Beltrandi l’hanno appoggiato, Zavoli ha tirato dritto. 

In questa situazione ogni scenario è possibile, e qualcuno nell’area moderata paventa la possibilità che non vi sia un voto contrario, ma un’assenza strategica per non far arrivare i sì alla fatidica soglia dei due terzi. Questo mentre si avvia una trattativa lontana dai riflettori: nei giorni scorsi si era ipotizzato di un contatto Monti-Berlusconi, che potrebbe essere risolutivo e che aveva suscitato le ire di dipietristi e democratici. Di fatto però è plausibile pensare a una trattativa nelle prossime 48 ore

Ma quand’anche il secondo scoglio fosse evitato, la nocchiera Tarantola non potrà distrarsi e dovrà tenere ben stretto il timone fra le mani. 

Dovrà infatti guardarsi dall’ultima insidiosissima secca, la nomina del direttore generale, che Mario Monti ha già individuato in Luigi Gubitosi. “L’uomo delle forbici” ex Wind dovrà avere dalla sua tanto il Cda quanto la politica., ma non sarà affatto facile. Monti, indicandolo contestualmente alla Tarantola, ha forzato la procedura, che vorrebbe la designazione del Dg successiva all’insediamento del consiglio d’amministrazione. Segno che il governo non deflette dalla volontà di risanare l’azienda, e che la strada è tracciata. Ma la vischiosità da sabbie mobili del sistema di Viale Mazzini potrebbe rivelarsi troppo difficile da superare persino per i supertecnici spediti da Monti al settimo piano del palazzo del Cavallo.