In fondo, che avrebbe fatto realmente un passo indietro, o di lato, o il padre nobile del partito, o qualunque altra cosa detta con quelle formule che lasciano intendere che era giunto il tempo di levare il disturbo e trascorre il tempo che gli rimaneva sulle panchine, ai giardinetti, non ci credeva nessuno. Ci saremmo stupiti del contrario. Se Berlusconi, cioè, non stesse covando modi e tempi per perpetrarsi ad libitum. Se gli fosse realmente passato per la testa di farsi sostituire da Alfano, questo sì che sarebbe stato bizzarro. Per carità, senza nulla togliere all’attuale segretario del Pdl; ma, se con lui candidato premier, i sondaggi danno il partito ad un terzo di quanto otterrebbe con Berlusconi, ci sarà pure un motivo. Vittorio Sgarbi (che alle 11.30 del 14 luglio, giorno della presa della Bastiglia, presenterà ufficialmente il suo Partito della Rivoluzione), in questi mesi in cui Berlusconi c’era sì e no, lo ha incontrato regolarmente. Gli abbiamo chiesto come interpretare la notizia della sua ridiscesa in campo.



Lei ne era al corrente?

Se ne ero al corrente? Senza tema di smentita, posso assumermi la paternità della sua ridiscesa in campo.

Cos’ha fatto per convincerlo?

La sua decisione è il frutto della mia continua frequentazione e di quella di un gruppo di amici che fanno parte del mio progetto rivoluzionario; persone come Volpe Pasini che, ben lungi dallo svolgere il ruolo di guru che gli è stato attribuito, ho portato con me ogni volta che ho fatto visita al Cavaliere. Con la differenza che mentre io mantengo un atteggiamento più dialettico e problematico, lui ha mostrato una convinta e quasi fanatica ammirazione nei suoi confronti. Diciamo che sono stato il veicolo di un gruppo di persone che l’ha convinto che doveva e poteva tornare.



Come l’hanno presa i dirigenti vari del Pdl?

Molto male. Non potendosela prendere con me perché hanno paura, se la sono presa con Volpe Pasini. Siamo stati, del resto, quelli che hanno puntato più di tutti su una presenza attiva di Berlusconi nel centrodestra. Costoro, che fino a poche settimane fa erano contrari ad una sua ricandidatura e si dicevano convinti della necessità delle primarie, sono stati costretti ad accettare l’evidenza e riconoscere che se l’area di centrodestra, pidiellina, deve proporre un candidato, non deve fare le primarie;  perché il candidato naturale, indifferentemente dalle possibilità di vittoria, ma necessario per preservare i voti di appartenenza, è Berlusconi.



Quindi, l’ipotesi di ritirarsi e limitarsi a fare il padre nobile è del tutto archiviata?

Guardi, ci sono stati dei momenti in cui Berlusconi ha mostrato grande scoramento. Era triste, avvilito. Ripeteva d’esser vecchio, stanco, di voler mollare tutto. 

E lei?

Gli dicevo di smetterla di lamentarsi. Di riprendere a lottare. Alla fine, è tornato più agguerrito di prima.

E’ una questione di orgoglio?

In realtà, la sua persuasione è determinata non tanto dalla vanità personale, quanto dalla convinzione che l’esito, con lui, possa essere più sicuro che con chiunque altro, benché non ai livelli di un tempo.

I processi e le aziende non c’entrano nulla con la sua decisione?

Non ha mai avuto tante assoluzioni come da quando non è più al governo. Processi che, per inciso rappresentano il più grande scandalo italiano. Guardi il caso Ruby: non c’è parte lesa, non interrogano Ruby, non c’è denuncia. Come  si fa a celebrare un processo così? L’Italia è stata data in mano a persone che, in fondo, sono riuscite nel loro intento. L’hanno, infatti, cacciato. Non mi pare, in ogni caso, che viva nell’incubo dei processi.

E le aziende?

Non credo che oggi la situazione economica possa essere condizionata dalla politica.

Ci dovrà essere un’altra ragione di fondo

Arrivato alla sua età, non far politica fa sentire vecchi; chi si ritira diventa un pensionato. Berlusconi non è vinto e farlo percepire anche agli altri è per lui necessario. Del resto, non può fare il numero due di Alfano. C’è un limite a tutto.  

Crede che anche Bossi possa tornare in Auge?

Non lo escludo. Con la differenza e aggravante che l’hanno cacciato i suoi.

In ogni caso, che scenari si prefigurano?

Se resterà in vigore l’attuale sistema elettorale, dovrà scegliere tra tre ipotesi: si candida con il Pdl o ex Pdl; non si candida con nessuno, ma vale per tutti come candidato premier; si candida, come lui stesso ha detto di essere intenzionato a fare, con me, perché la lista della Rivoluzione gli piace più di tutte le altre.

L’idea di dar vita ad una serie di liste è rimasta in piedi?

Per forza. Del resto, solo se costituito da una serie di componenti aggiuntive, quali la mia, Forza Italia, quella di Storace e via dicendo, il centrodestra può sperare di ottenere risultati soddisfacenti. Di fronte all’emorragia del Pdl sono necessari tre o quattro contenitori con persone come me che, pur essendo di area, non sono camerieri di Berlusconi.

E se cambia la legge elettorale?

L’altra ipotesi, sempre sgarbiana, è quella di una riforma elettorale, di tipo proporzionale, alla tedesca. Mettiamo che il partito di Berlusconi prenda il 20%, quello di Bersani il 26%. A quel punto, il presidente della Repubblica gli chiederà di fare un governo. Bersani non ci riuscirà, perché le liti e contrapposizioni tra Vendola, Di Pietro e Casini sono tali da impedirglielo. Nel frattempo, il capo dello Stato, che sarà Monti, chiederà a Pdl, Pd e Udc di cercare un candidato comune all’insegna della grande intesa.

Chi sarebbe?

Di certo, non Rosi Bindi. E neppure D’Alema o Veltroni. L’unico che potrebbe essere indicato dalla sinistra ma andare bene al centrodestra, potrebbe essere Matteo Renzi.  Con il sistema proporzionale, anche la sconfitta consentirebbe di rimanere in gioco. In ogni caso, l’idea è quella di perpetrare questo modello, ove Berlusconi c’è e non c’è; ma fa pur sempre parte della maggioranza. 

 

(Paolo Nessi)