Il Partito democratico si riunisce a Roma e tiene un’assemblea che si può anche  definire problematica, vista la conclusione concitata su alcuni punti, come le nozze gay, ma anche la data delle primarie. Partendo dalla conclusione dell’assemblea, con la presidente Rosy Bindi che non mette in votazione un documento, si potrebbe avere la percezione di un partito profondamente lacerato. Ma sarebbe un giudizio affrettato, che non terrebbe conto del momento politico complessivo che sta attraversando l’Italia. Bersani deve usare tutta la sua “arte di mediazione” per dare un’immagine ancora unitaria del Pd e non risparmia un rimbrotto alla platea: “Attenzione noi siamo il primo partito del Paese, dobbiamo dire con precisione all’Italia che cosa vogliamo, il Paese non è fatto delle beghe nostre”. Il senso della relazione si appoggia su un crinale complicato, dove la difesa del “governo Monti” deve coniugarsi anche con le critiche costruttive, gli errori e le proposte da inquadrare per il nuovo governo. Il  presidente del Consiglio viene paragonata a una sorta di “pompiere” che, nonostante alcuni passi incerti “ha impedito che l’incendio dilagasse”. Il passaggio più duro, Bersani lo riserva comunque per il  “ritorno in campo” del cavalier Silvio Berlusconi, definito “agghiacciante”, collegato a una sorta di avventurismo in cui potrebbe piombare la politica italiana. Marco Follini, attualmente senatore del Pd dopo essere stato tra i fondatori dell’Udc e dopo una storica  militanza democristiana, ragiona soprattutto politicamente, cerca di dare uno sguardo d’insieme sia alla realtà del partito che a quella del Paese. Follini, è noto, sostiene apertamente il “governo dei tecnici” e l’operato di Mario Monti, ma è anche abituato alla dialettica interna ai partiti e cerca un punto di mediazione, come ogni politico alla fine dovrebbe fare.. Quindi, giudicando l’assemblea del Pd, spiega: “Non si può certo nascondere la realtà. Anche il Partito democratico sta vivendo quella fase di transizione e di condizione in cui si trova il Paese”.



E’ una fotografia di quello che sta avvenendo in Italia e nella sua classe politica in un momento di crisi, di incertezze, di dubbi. L’immagine del Pd che si coglie è comunque quella ancora di un partito nel senso tradizionale della parola.

Si, credo che questo si possa ancora dire nel panorama politico italiano. Ma io vorrei aggiungere una cosa che mi ha interessato nella relazione di Bersani. E’ un problema che riguarda il Pd, i movimenti e le forze politiche, ma anche tutti i Paesi occidentali. Il centro di questo problema è che con questa crisi devastante c’è il rischio di una perdita di democrazia. Il problema, ripeto, non riguarda solo noi, ma è il nodo della questione. Come colmare questa perdita di democrazia è il compito su cui noi tutti  saremo costretti a ragionare e a trovare delle soluzioni. Nuove, moderne, aggiornate e convincenti. Ridurre il problema solo a un confronto sulla linea del Governo Monti sarebbe un fatto veramente riduttivo, che non coglie la complessità del periodo storico che tutto l’Occidente sta attraversando.



C’è comunque un’attualità da affrontare è c’è un confronto aperto anche nel Partito democratico su cui si deve cercare un punto di equilibrio.

Questo Bersani lo sta facendo e non è di certo un’operazione semplice. La differenza delle mie posizioni sul “Governo Monti” rispetto a quelle dei “giovani turchi” è abbastanza nota. E’ evidente che all’interno del Pd ci siano posizioni differenti. Il problema è trovare il punto d’equilibrio possibile. Pur con fatica questo sinora è stato raggiunto, ma bisogna continuare su questa strada, che non è affatto semplice”.



Avete di fronte anche un altro problema tutt’altro che secondario, quello della riforma elettorale, dove avete dei nodi da sciogliere nel rapporto con le altre forze politiche che, in una situazione di emergenza, appoggiano il governo dei tecnici.

Noi la proposta l’abbiamo fatta e la riteniamo una proposta che è mirata a raggiungere il massimo di rappresentatività e di governabilità del Paese. Abbiamo in sintesi proposto il doppio turno, che ci sembra il migliore, il più adatto per rispondere ai criteri che indicavo: rappresentatività, governabilità superando la frammentazione. Certo, dovremo per forza passare attraverso altre soluzioni, perché questo doppio turno non convince l’altra parte del Parlamento.

C’è un problema che divide anche voi, quello delle preferenze. Si dice che aumenterebbero le spese elettorali, che nominerebbero i più noti o quelli che hanno dietro un’organizzazione ben radicata.

Conosco le obiezioni alle preferenze. Ma io non sono del tutto d’accordo. O meglio, in una trattativa per la riforma elettorale, non farei della questione delle preferenze una sorta di bandiera. Insomma, non alzerei un muro.

Poi c’è il problema delle primarie interne a voi, ma soprattutto la data delle primarie.

Guardi, io sono della vecchia scuola. Prima si fa un programma, poi si costruisce un’alleanza, quindi si sceglie il candidato premier di una coalizione. Il problema qui non sono le date da stabilire, ma sono i passaggi politici da raggiungere.

 

(Gianluigi Da Rold)