Che fosse incline ai colpi di scena si sapeva. Non al punto, tuttavia, che avrebbe deciso per l’ennesima volta di sparigliare completamente le carte in tavola, rimettendosi in gioco secondo lo schema di sempre; la clamoroso novità, in pratica, è che non è cambiato nulla. Dopo 17 anni, Berlusconi si ricandida a premier. Per l’ennesima volta. E perché tutto sia veramente uguale a se stesso, archivia l’esperienza del Pdl e resuscita Forza Italia. Almeno, stando a quanto ha dichiarato lui stesso sul quotidiano tedesco Bild. Dichiarazioni prontamente smentite. Sempre da lui stesso, ovviamente. Cosa che contribuisce a certificare la verosimiglianza dell’ipotesi. Abbiamo chiesto ad Alessandro Amadori, fondatore e direttore dell’Istituto Coesis Research, di spiegarci su che percentuali si potrebbero attestare i diversi partiti a seconda dei vari scenari di riferimento.



Berlusconi è ridisceso in campo per limitare i danni. E’ vero che il Pdl con Alfano avrebbe preso solo il 10%?

Il 10% è una valutazione forse un po’ troppo pessimistica. Ma il 15%, effettivamente, è possibile.

Con Berlusconi, invece, il Pdl si attesterebbe attorno al 30% come lui stesso avrebbe rivelato?

Non credo che sia questa la soluzione in grado di riportare l’area del centrodestra su cifre di questo genere.



Qual è, allora?

Dovrebbe consistere in una separazione tra Berlusconi e il Pdl. In modo da consentire al Pdl di evolvere nella direzione di una sorta di sezione italiana del Partito popolare europeo. Recupererebbe, così, parte di  quel elettorato di centrodestra che non si riconosce più in Berlusconi. Che, dal canto suo, dovrebbe fare una lista propria. Non mi riferisco a Forza Italia, ma a qualcosa di ancora più personale e distinto dal Pdl: “Forza Silvio”, per intenderci. Tale lista recupererebbe quota di elettori berlusconiani che non si riconoscono più nel Pdl.

Possibile che il partito e il suo fondatore siano diventati incompatibili?
Vede, il Pdl è ormai diventato una sorta di neo-Democrazia Cristiana. Se Berlusconi resta confinato all’interno di un tale contenitore è destinato ad annacquarsi mentre la sua presenza carismatico-populista contaminerebbe un partito che ha bisogno di tutto tranne che di essere bollato in questi termini. In sostanza, l’effetto Berlusconi è stemperato dal Pdl, mentre l’effetto Pdl è stemperato dalla presenza di Berlusconi. Si danneggiano a vicenda.



Lei pensa che la somma degli addendi sarebbe inferiore alla loro divisione?

Attualmente è già ampliamente inferiore. Il Pdl, con Berlusconi, prenderebbe esattamente tanto quanto con Alfano. Ovvero, circa il 15%. C’è una grande area di non voto, infatti, che comprende molti elettori di centrodestra che non si riconoscono né in un Pdl de-berlusconizzato, né in un Berlusconi pidiellizzato.

Divisi, invece, quando prenderebbero?

Il Pdl intorno al 20%. La lista personale di Berlusconi, invece, il 10%.

Come valuta l’ipotesi di cambiare nome al Pdl, tornando alle origini, e chiamandolo Forza Italia?

Mentre il Pdl è assimilabile ad un’operazione di ingegneria genetica tra specie diverse, Forza Italia potrebbe rappresentare un passaggio preliminare alla lista di Berlusconi. A quel punto, tuttavia, si determinerebbe un movimento in uscita di post-democristiani di centrodestra e di appartenenti alla destra sociale che non sarebbero, tuttavia, più collocabili. Contestualmente, il Pdl ri-berlusconizzato si troverebbe privo degli elettori di quell’area.

Quindi, quanto otterrebbe Forza Italia?

Tra il 15 e il 20%. Non di più. Sempre meno, quindi, della somma Berlusconi-Pdl.

Crede che a questo scenario si arriverà realmente prima della elezioni?

I tempi tecnici ci sono. Bisogna vedere, tuttavia, se Berlusconi avrà la forza e il coraggio per compiere un’operazione del genere.

Berlusconi che vantaggio ne avrebbe? Peserebbe pur sempre meno rispetto all’ipotesi di una lista Forza Italia

Potrebbe intestarsi il ruolo di King Maker di un’operazione che risulterebbe, con buone probabilità, vincente. Si immagini un Pdl-Ppe (20%), più una lista Berlusconi (10%), più un aggregato di centro (10-12%): la coalizione viaggerebbe attorno al 42%.

L’Udc non è disposta ad allearsi con Berlusconi.

Sì, se si offrisse a Casini di fare il candidato premier. Se Berlusconi potesse assumersi la paternità e il merito del progetto, accetterebbe di non essere lui il candidato. 

A questo punto, se nella coalizione entrasse anche la Lega, la vittoria sarebbe scontata

Esatto. La Lega potrebbe ottenere, infatti, attorno al 5-6%. Tuttavia, dubito che potrebbe tornare ad allearsi con l’Udc, dovendo difendere la proposta del ritorno alle origini.

Non crede che i fuoriusciti di destra, a quel punto, potrebbe organizzarsi in partito e supportare ulteriormente la coalizione?

Il fatto è che quando la destra si presenta in quanto tale, va a confluire nel mercato di nicchia. Funziona solamente quando figura come moderata. Otterrebbe, tuttavia, quel 2% che gli consentirebbe di far salire la coalizione di centrodestra al 44%.

Nel centrosinistra che scenari si prefigurano?

Il Pd prenderebbe il 24%, l’Idv il 7%, Sel il 7%, la Federazione della Sinistra il 4%; siamo, quindi, al 42%. I due schieramenti se la giocherebbero.

C’è, infine, Grillo

Esatto, e potrebbe guadagnare tranquillamente attorno al 10% (non il 20% come è stato detto). L’M5S, del resto, è l’elemento che impedirà a chiunque di ottenere la maggioranza piena. Non si pensi, tuttavia, che rappresenterà l’ago della bilancia. In Parlamento non appoggerà nessuno. L’alleanza con chiunque lo priverebbe della sua specificità antisistema. 

 

(Paolo Nessi)