Praticamente, gli è stato tolto il terreno sotto i piedi; dopo aver accettato la fusione, mal digerendola, gli ex An si trovano di fronte a due ipotesi, una più svantaggiosa dell’altra: possono fare buon viso a cattivo gioco, restare dentro la rinata Forza Italia, rinunciando a qualunque residuo di pretesa identitaria; o andarsene, peregrinando verso ogni luogo che consenta loro di sottolineare e preservare la propria diversità rispetto al partito di Berlusconi. Ora, posto che questo luogo, all’interno del centrodestra, esista, nessuno gli assicurerà mai quel seggio in Parlamento che, restando in Forza Italia, avrebbero garantito. Quindi? Cosa faranno i vari Gasparri, La Russa, Meloni e via dicendo? Abbiamo fatto con Pierangelo Buttafuoco il punto sulla destra italiana.



Gil ex An hanno reagito male all’ipotesi di un ritorno a Forza Italia. La loro rabbia è realmente dettata dal senso di tradimento identitario o da mere logiche spartitorie?

Credo che siano sinceri. L’identità è un sentimento che ha sempre riguardato queste persone. Un sentimento impalpabile, che non si può quantificare, né in termini numerici né attraverso la geografica ideologica e che è sfuggito ai recenti sommovimenti delle varie aggregazioni politiche.



Cosa crede, in ogni caso, che decideranno di fare?

Cosa ne sarà degli ex An, attualmente, non è dato di saperlo. Credo d’altronde che loro, come del resto gli uomini più vicini a Berlusconi, ma anche quelli della sinistra, saranno spazzati via.
Da cosa?

Constato il fatto che, politicamente, le sofferenze non finiranno mai. Pensi a cos’è successo a sinistra con le primarie: sistematicamente sono stati eletti personaggi eccentrici al partito che non solo erano dati come perdenti per le consultazioni interne, ma che hanno pure vinto le elezioni comunali. E’ successo a Napoli, a Milano, a Genova e a Taranto. Allo stesso modo, a destra credo, che ci potranno essere delle sorprese. Sono convinto, in sostanza, che dell’attuale classe dirigente non ne resterà uno solo.  



In ogni caso, esiste ancora una destra italiana?

Sì. Sopravvive e persiste a livello popolare, in quelle comunità che sono state contaminate dalla grande stagione del Movimento sociale, trasversale e presente in tutto il territorio; si tratta di una realtà connotata da storie solidarietà, dalle scommesse individuali di coloro che ambiscono a riconoscersi in un cammino di emancipazione sociale, da chi fa parte di un proletariato che non cade nella trappola della lotta di classe. L’opposto della società liberale, con i suoi culti della partita iva e della carta di credito.

Quali sono i suoi tratti distintivi, rispetto alla sinistra?

Il senso del sacro mantenuto dalla destra è un discrimine fondante; essa, inoltre, non potrà mai assumere la concezione dell’esistenza che la visione materialista comporta. La sinistra, oltretutto, ha sempre avuto la presunzione di forgiare una nuova umanità, correggendone i difetti; la destra è più rispettosa di tali difetti. La sinistra, diciamo, è utopista, la destra più pragmatica.

Politicamente, invece, dove è ravvisabile?

Politicamente è del tutto minoritaria. L’unica destra politicamente possibile consite in un equivoco rispetto a quella che dovrebbe essere definita tale; l’unica possibile, cioè, è quella di Mario Monti, dei tecnici, della società liberale, della satrapia occidentale che vuole ridurre la pluralità del mondo, cancellarne  le identità, esportare la democrazia;  la destra che si fonda su un’idea di supremazia sulle distinzioni delle voci, dei colori e dei popoli.

E Fli? Che cos’è?

Si tratta di una manovra tattica messa a punto da quell’impiegato della politica che è Fini. E che, senza di lui, sarebbe una cosa meravigliosa. Le storie di persone come Fabio Granada, Flavia Perina, Tomaso Staiti di Cuddia o  Umberto Croppi sono esemplari. Personaggi di caratura superiore rispetto al leader del loro partitoche sono cresciute in un laboratorio politico che ha costruito un’idea di società in linea con quel pragmatismo tipico della destra italiana. Dalla loro passione genuina e dal loro entusiasmo potrebbe venire fuori qualcosa di interessante.

Cosa ne pensa, invece, di Storace?

E’ una persona appassionata, in grado di commuoversi e di trascinare attorno ad un progetto. Ma pur sempre legata a un progetto minoritario.

Lei escluderebbe la possibilità, per gli ex An, di tornare a riunirsi?

Se si trattasse di una chiamata alle armi nel nome di An, ci saranno solo fischi e pernacchie. Se sarà, invece, nel nome del Movimento Sociale, sarà una cosa ben diversa. L’Msi fu, infatti, un’esperienza molto più sofferta, delicata e radicata nell’ideologia italiana. Si tratterà, quindi, di riprendere le fila un’eresia.

Quale?

Quella che immagina di riscattare gli italiani, superandone l’inazione e la privazione della sovranità politica nel segno del pragmatismo; un’idea contestuale alla propria identità, di popolo e nazione. Ci siamo dimenticati che la parola Italia preesiste nei millenni e non può essere rinchiusa nei confini di una storia minuta, liberale e piccolo-borghese.

Tutto ciò potrebbe accadere realmente?

Beh, chi avrebbe mai scommesso sul fatto che, dopo l’estrema decadenza, la Turchia potesse tornare alla stagione neo-ottomana; che dopo la rivoluzione culturale, Pechino potesse diventare la prima città al mondo; che in seguito al crollo dell’Unione Sovietica, Mosca potesse riaprire il sipario del Bolshoi e dispiegare le ali dell’Aquila imperiale degli Zar e portare agli onori degli altari la famiglia Romanov?

 

(Paolo Nessi)