Non capita spesso di essere attesi con urgenza del presidente del Consiglio; fosse il caso, non c’è dubbio che gli ospiti di un appuntamento fissato in precedenza comprenderebbero la situazione, perdonandovi l’eventuale repentino abbandono. A meno che non siate il presidente della Repubblica. Allora, il gesto potrebbe apparire, quanto meno, irrituale. Come ieri, quando il capo dello Stato si è trovato costretto a salutare in anticipo i partecipanti ad un convegno sul diritto costituzionale, invitati presso la Biblioteca del Quirinale. Dopo essersi scusato per la brevità del suo intervento, si è giustificato, spiegando che lo attendeva «un’incontro imprevisto e urgente con il presidente del Consiglio». In genere, dovrebbe essere la quarta carica dello Stato a correre in fretta e furia dalla prima. Ma l’impellenza, in effetti, era tale che si può tranquillamente soprassedere alla piccola gaffe. I due, infatti, si sono dati appuntamento per discutere del possibile default della Regione Sicilia. Stefano Folli ci aiuta a comprendere il significato politico dell’incontro e quali scenari si prefigurano.



Quali conseguenze potrebbe determinare il crack della Sicilia sul piano della stabilità di governo e dell’immagine internazionale?

Temo piuttosto negative. La Regione ha dimensioni tutt’altro che irrilevanti, si tratta di una realtà importante e gli effetti della sua insolvenza, in prospettiva, potrebbero rivelarsi deleteri.



Crede che sia stato questo l’oggetto prevalente dell’incontro tra i due?

E’ evidente che il motivo principale di questo vertice imprevisto sia legato alla volontà di intervenire rapidamente, onde non dare l’impressione ai mercati finanziari e ai partner internazionali di un’Italia che si sta lasciando sfuggire la situazione di mano; o che non è in grado di far fronte al dissesto dei bilanci siciliani.

Lei, ieri, ha scritto: «man mano che il sistema dei partiti si avvita nella sua crisi senza uscita, si afferma il baricentro del Quirinale». E ancora: Napolitano «esponendosi ha prestato il fianco alla controffensiva di chi» intende ridurre il suo spazio di manovra. L’incontro può essere una mossa per rafforzarsi?



Credo che Napolitano e Monti abbiano voluto dimostrare che sono in grado di tenere le mani ben salde sul timone. E che le vicende economiche, da un lato, e gli attacchi subiti dal Quirinale (mi riferisco, in particolare, alla pubblicazione delle intercettazioni delle sue telefonate con Mancino), dall’altro, non hanno indebolito questo rapporto. Hanno cercato, sostanzialmente, di lanciare un messaggio rassicurante.

Sul tavolo del colloquio si è detto che ci fossero anche i vari decreti economici del Governo, l’iter dei provvedimenti legislativi e un giudizio generale sullo stato economico del Paese. Crede che, effettivamente, fosse così o, piuttosto, non sia stato un modo per evitare il panico?

L’agenda, effettivamente, è intesa a far sì che il governo sia percepito, dall’opinione pubblica, nel pieno esercizio delle sue funzioni; tanto più in una fase drammatica come quella che stiamo affrontando. Il Quirinale ha inteso, quindi, rafforzare questa impressione, conferendo all’esecutivo ulteriore legittimità e cercando di trasferire ai cittadini un analogo sentimento di fiducia.

Ci sono provvedimenti più urgenti degli altri?

Indubbiamente, anzitutto, tutti quelli che opereranno sul fronte della riduzione della spesa e del debito pubblici; sono, inoltre, prioritarie tutte quelle disposizioni che consentano di rafforzare il profilo europeo della nostra politica e, all’Italia, di far valere le proprie posizioni in ambito comunitario, affinché abbia l’autorevolezza per spingere verso una maggiore integrazione.

Crede che dai partiti potrà venire un reale contributo nel contrastare l’emergenza?

Ad oggi, purtroppo, la crisi dei partiti persiste e, finora, non ha perso intensità, né risulta meno grave di prima, né, infine, è stato fatto alcunché per recuperare credibilità. Continua ad esserci, quindi, un vuoto drammatico. Il governo, finora, si è retto su una combinazione irripetibile, costituita dal sostegno del Quirinale e dalla vacanza delle forze politiche. Si tratta, tuttavia, di una circostanza in procinto, necessariamente, di concludersi. Preoccupa, quindi, pensare al momento in cui i partiti torneranno sulla scena chiedendo, seppur legittimamente, di ricollocarsi in quell’ambito ove non hanno mai saputo assumersi i propri compiti in termini di proposte, idee e rapporto con gli italiani.

Il ritorno di Berlusconi rischia di complicare il quadro?

Non credo, sinceramente, che sia realmente intenzionato a tornare a Palazzo Chigi. L’ipotesi, al limite, potrebbe contribuire, paradossalmente, a stabilizzare lo scenario

Giorgio Vittadini su queste pagine ha detto che «non è ancora troppo tardi per costruire insieme programmi che favoriscano libertà, intrapresa,  sussidiarietà e solidarietà nella scuola, nell’università, nella sanità, nell’assistenza, nel mercato del lavoro, nell’impresa. Questo potrebbe voler dire rompere con parte dei rispettivi gruppi dirigenti, ma meglio perdere la cadrega che la dignità». E’ d’accordo?

L’agenda è pienamente condivisibile e, in politica, non è mai troppo tardi. Ed è pur vero che il mondo non finisce con la crisi della seconda Repubblica. Va anche detto che ci sono gruppi dirigenti obsoleti e altri che devono ancora legittimarsi e dimostrare di esistere; tutto ciò rientrerebbe nella logica naturale delle cose. Tuttavia, non siamo in grado di prevederne i tempi. Il nostro sistema politico, infatti, è malato e ingessato a tal punto da rendere i ritardi, in tal senso, immani. Anche il fermento presente nelle società civile, spesso in grado di raccordarsi con le esigenze del sentire comune, non sta ancora trovando un punto di mediazione politica. Per ora, purtroppo, registriamo l’attaccamento al passato.

 

 

(Paolo Nessi)