Non si spiega, se non con gli effetti indesiderabili prodotti dall’assuefazione al potere, la pervicacia con cui Bossi insiste nel proclamarsi capo assoluto della Lega. Tant’è, spogliarlo d’ogni prerogativa e isolarlo – tutti i suoi lo hanno rinnegato, affrettandosi a riverire il nuovo re – potrebbe non esser stato sufficiente a impedirgli di nuocere. Qualche nostalgico con cui complottare riesce ancora a trovarlo. Come l’altra sera, quanto si è seduto a tavola con Rosi Mauro, il suo assistente Moscagiuro, due senatori, (uno era Giovanni Torri) e l’onorevole Paola Goisis. Di cos’avranno parlato? Basta ricordare l’ultima provocazione del Senatur per farsi un’idea: «Il capo sono ancora io. Ci sono tanti cani piccoli che abbaiano molto ma non fanno paura…». Maroni, dal canto suo, sa bene di avere in mano il bastone del comando. Ma, parlando con Berlusconi, che non ha mai interrotto il rapporto privilegiato con Bossi, avrebbe tenuto a sottolineare: «Chi comanda nella Lega sono io, non è più Bossi. Per cui se tu lo senti in amicizia mi sta bene, ma per il resto devi parlare col segretario federale della Lega». Giancarlo Pagliarini, già ministro del bilancio in quota al Carroccio, spiega a ilSussidiario.net cosa sta succedendo. «Le chance di Bossi di tornare in auge sono sottozero. Ma non da adesso. La Lega è rimasta senza un vero responsabile per almeno gli ultimi 4-5 anni. La verità è che Bossi è malato. E anziano. Temo che la sua lucidità mentale sia, da tempo, parecchio appannata. E’ presumibile che a prendere le decisioni al posto suo siano sempre gli stessi, quelli del “cerchio magico; e che siano loro a spingerlo a rilasciare queste dichiarazioni. Tutto questo, spiace. Assistere a questi teatrini mette una certa malinconia». Il protrarsi negli anni di un tale appannamento, secondo Pagliarini, ha prodotto esisti politici, dal suo punto di vista, nefasti: «L’assenza di lucidità lo ha portato a dichiarare: «Abbiamo finalmente realizzato il federalismo!» quando era evidente a chiunque avesse un minimo di dimestichezza con questi argomenti che la legge approvata, del vero federalismo, non aveva assolutamente nulla. Un Bossi in piena forma sarebbe stato il primo ad accorgersene. Non posso fare altro che pensare che, anche in quella circostanza, non fece altro che ripetere le parole che gli erano state suggerite da qualcun altro». In ogni caso: «per il bene suo e del partito, farebbe molto meglio ad occupare il posto che gli è stato riservato, fare il padre spirituale delle Lega, e smetterla di provocare fastidi». Nel novero delle seccature, rientra anche l’ipotesi di scissioni. A partire dal nucleo base costituito da ciò che resta dal cerchio magico, si dice che le fila degli insorti potrebbero ampliarsi. Ci sarebbero decine di parlamentari pronti a tradire il nuovo capo, mentre in Veneto il leghista della prima ora e bossiano, Gian Paolo Gobbo, ha dato vita ad una fondazione, “Prima i veneti”.
«Mah, la situazione è liquida a tal punto che, in effetti, non si può escludere nulla», dice Pagliarini. «Credo che Maroni abbia un solo modo per mettersi al riparo da eventuali defezioni: migliorare il partito con una serie di innovazioni coraggiose. Per intenderci: si continua a sbandierare il modello svizzero come esempio di federalismo da importare. Perché, allora, non viene importato anche all’interno della struttura del partito? Così come il presidente elvetico resta in carica un anno soltanto, anche il segretario della Lega potrebbe essere eletto ogni 12 mesi, a rotazione tra le varie Regioni. Un cambiamento del genere smorzerebbe gran parte delle molte tensioni». Si obietterà che un partito, senza leader effettivo, non regge. «Sì, se invece che sul carisma del capo di fonda sulle idee».
(Paolo Nessi)