Ho letto come tutti con grande interesse il “Coraggio di ricominciare” di Giorgio Vittadini, e capisco bene l’analisi aspra fatta degli ultimi anni del governo Berlusconi. Sono perplesso però sulle conseguenze che vengono tratte per il futuro. Un po’ perché non mi sembra che l’esperienza vissuta in questi ultimi nove mesi sia così esaltante, anzi! Per alcuni aspetti perfino peggiore di quella precedente. Ma soprattutto perché anche l’idea di mettersi tutti insieme per un indistinto “bene comune” rischia di essere non meno ideologica e povera di quel che vorrebbe sostituire.



Mi sembra quasi che Vittadini accusi la destra di essere destra e la sinistra di essere tale. Ha ragione a dire che il giustizialismo non è di sinistra, e lo statalismo non è di destra. Che ci sia però chi propone un modello più sociale e chi invece uno più liberale, mi sembra non solo legittimo, ma corrispondente anche ai sentimenti popolari. Ci possono essere momenti o casi particolari in cui non servono modelli, ma una semplice risposta ai bisogni che emergono nella realtà.



Nelle ultime settimane mi è capitato di provare a dare una mano alle ragazze ferite nell’attentato di Brindisi di maggio. Ho conosciuto la loro storia dal sottosegretario all’Istruzione Elena Ugolini che aveva incontrato le famiglie per ragioni istituzionali. Gente poverissima, e semplice, lasciata sola come purtroppo capita una volta spentisi i riflettori sulle grandi tragedie. Pieni di difficoltà economiche: le ragazze sono ustionate in varie parti del corpo, anche nel viso, e avranno bisogno di delicati interventi di chirurgia estetica. Su Libero abbiamo lanciato una sottoscrizione, che ha incontrato la generosità dei lettori. Non basterà, ma forse riusciremo a dare 10mila euro a famiglia. Parlando con i familiari ho appreso che le ragazze avevano avuto prescritte pomate e creme che non sono riconosciute dal Ssn. L’ho scritto, ed è stato un bene, perché le aziende produttrici si sono fatte avanti per offrirle gratis. Alcuni politici pugliesi si sono però offesi, perché hanno interpretato quella notizia come accusa nei loro confronti. Non avevo citato nessuno di loro nell’articolo, anche perché so che Puglia o Lombardia non avrebbe fatto differenza: quelle pomate non erano inserite nel prontuario farmaceutico. Curano le ustioni, ma sono classificate come prodotti di bellezza.



L’assurdo è stato che i familiari delle ragazze, su pressing dei politici locali, hanno detto di non averne più bisogno, ed era falso. Non volevano dispiacere ai politici della loro terra. Ho capito, e scritto un pezzo di ringraziamento per la solidarietà operosa di tutte le istituzioni, Regione Puglia compresa. Il bisogno delle ragazze è tornato ad essere quello che era – appunto un bisogno – e così possiamo aiutarle anche sulle pomate. Se Vittadini intende questo, è vero: una politica così non serve. Se di fronte a un uomo che muore di sete e chiede acqua invece di porgere la bottiglia ci si mette a discutere su chi lo deve fare e come, allora la politica non serve a nulla. Ma è cosa diversa dal desiderio di schierarsi, che può anche essere sano.

Capisco che ci sia chi ritiene di avere un modello di società (ad esempio quella con meno Stato) e che in buona fede identifichi quello con il bene di tutti. E capisco che ci sia il modello opposto (più Stato) ritenuto da chi lo propone il modo giusto di perseguire il bene comune. Questa contrapposizione di modelli riflette la realtà. Tanto è che il popolo ha espresso la sua preferenza talvolta per un modello, talvolta per un altro. Quasi sempre con differenze minime. Abbiamo una legge elettorale che offre un premio di maggioranza sempre identico a chi vince di un voto come a chi vince per un milione di voti. Non c’e mai stata “la maggioranza più vasta della storia”, citata da Vittadini a proposito del 2008: i rapporti di forza alla Camera erano all’epoca identici a quelli che nel 2006 ebbe Romano Prodi, e proprio alla Camera Berlusconi a novembre ha perso la sua maggioranza. 

Per nove mesi Berlusconi è quasi scomparso. In nove mesi nasce un bambino. Non ho visto nascere altre leadership politiche: la realtà è questa. Forse sarebbe stato possibile, ma non è avvenuto: come scriveva Manzoni per don Abbondio, se uno il coraggio non ce l’ha, non se lo può dare.

Possiamo dire che ci fa tutto schifo, ma la realtà della politica è questa: il prossimo anno si voterà per Bersani o Berlusconi (magari non si candida lui, ma sarà in campo) a palazzo Chigi. Bisognerà scegliere tra il modello di uno e quello dell’altro. Non c’è più tempo per altre ipotesi. La credibilità dell’uno o quella dell’altro. Gli errori di uno o quelli dell’altro. La realtà è questa, e di fronte a questa realtà bisogna porsi. A Vittadini e a molti questa realtà non piacerà, ma non possiamo metterci di fronte a quello che non c’è, perché la realtà comunque si impone. Credo che a molti altri non piaccia il ritorno di Berlusconi: troppi errori compiuti, troppe delusioni anche cocenti, è vero. Credo che il Cavaliere fin dall’inizio non abbia usato grandi finzioni: scelse la politica per difendere la libertà sua e delle sue aziende. Talvolta è coincisa con la libertà degli italiani, per lungo periodo non è stato così. Ha colpe evidenti. Forse responsabilità non solo sua la mancata crescita di una classe dirigente. Quando dissenso c’è stato nel centrodestra, è accaduto per questioni di potere personale, non su grandi temi. Non sono circolate idee e senza idee non nasce una classe dirigente.

La storia d’Italia racconta un Paese che è sempre stato bipolare per due terzi (Dc-Pci, Berlusconi- progressisti) e non vedo una particolare evoluzione in questo. Non abbiamo mai avuto un partito in grado di vincere le elezioni, e maggioritario o proporzionale cambia poco: sono determinanti piccole formazioni politiche che hanno sempre bloccato e condizionato l’ attività dei governi. Non è gran democrazia, ma finora l’antidoto non è stato trovato. L’unica soluzione è fare circolare idee: ce ne sono tante in giro, ed è sempre stata la forza di questo Paese. Le idee prima o poi trovano le gambe su cui camminare.

Tra le migliori idee circolate ci sono – lo dico da osservatore – quelle dell’Intergruppo, e in parte ne sono coinvolto perché con molti di loro (di destra e di sinistra) ho una amicizia di lunga data e una frequentazione abituale a scuola di comunità. Vittadini sostiene che l’Intergruppo è servito a poco (e che spesso professa principi poi negati nella pratica). A me è parso che spesso siano stati invece la risposta sana a casi come quelli di Brindisi. Una risposta al bisogno. Nel limite del possibile (perché un limite al possibile c’è) hanno ottenuto maggioranze trasversali sulla libertà di educazione, sul 5 per mille e su tante piccole cose. Hanno un’amicizia visibile che è in grado di cambiare il clima in modo palpabile nelle commissioni e in aula. Poi magari quando vanno in tv recitano altra parte. Piccolo peccato, perché la vita quotidiana è diversa. 

Per natura mia, fossi stato da una parte o dall’altra mi sarei preso parecchie libertà in più nei confronti dei leader, e penso pure che quella libertà presa avrebbe fatto gran bene anche alle stesse leadership. Non mi scandalizzo però di chi – forse sbagliando – ha avuto la preoccupazione di avere spazi per costruire più che ribalte per distinguo personali. Non avranno prodotto risultati memorabili, ma l’intenzione mi è sembrata sincera. Alla fine di tutto questo non credo che la soluzione sia unirsi per un bene comune che tutti percepiscono in modo sostanzialmente opposto (sì, l’idea principale della politica è il relativismo, e ci vorranno decenni per mutarla). Credo sia più sana la competizione fra quei modelli. Si chiedano solo a chi li propone le oneste ragioni. Si dia anche al popolo vera libertà di sperimentare quel modello e anche di cambiarlo con quello opposto. Non è libertà questa fredda melassa sul bene comune vissuta con il governo Monti, incapace come nessun altro di ascoltare il cuore e – perché no? – sentire anche la pancia di questo Paese. Mi auguro di tutto, meno che questa parentesi drammatica possa avere seguito…

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