Come due curve di ultras maroniani e bossiani si fronteggiano e si scambiano segnali bellicosi. In mezzo una Lega ogni giorni più lacerata, strattonata com’è da tutte le parti. E il rischio della scissione è reale, ormai nessuno lo nega più, anzi se ne parla apertamente.
E’ stato lo stesso Bossi a farlo, anche se ufficialmente per smentire l’ipotesi. “Spero di no, ma i rischi ci sono sempre”, ha detto in transatlantico ai giornalisti. Ed è tra le fila dei suoi fedelissimi che il malcontento cresce ogni giorni di più. Epicentro il gruppo parlamentare alla Camera, dove c’è chi giura che siano in 25 pronti a lasciare per creare un gruppo parlamentare autonomo. “Tanto nella lega saremmo morti lo stesso – dice uno di loro – tanto vale tentare”.
Del resto, chi aveva provato a cercare un approccio con i maroniani è stato respinto, come l’onorevole veneta Francesca Martini. Il problema di Bobo, infatti, sono proprio i suoi sostenitori, i “Barbari sognanti”, che non intendono cedere un millimetro alla “vecchia guardia”, dopo aver masticato amaro per mesi interi e rischiato in molti casi l’espulsione per mano di zelanti colonnelli, come Rosy Mauro. La vicepresidente del Senato, bersaglio dei più perfidi strali interni, non ha tagliato il cordone ombelicale con Bossi, tanto da essere stata vista a cena con lui questa settimana in Piazza Navona, a un passo dal Senato. Lei lavora a raccogliere il dissenso. E al tavolino dei “Tre Scalini” c’erano anche alcuni dei bossiani più scatenati, come la veneta Paola Goisis, e il ligure Giacomo Chiappori: quanto basta per alimentare le voci su un nuovo partito dei “celoduristi”, una sorta di “Rifondazione leghista”.
Certo, dopo aver pianto sul palco del congresso di Assago, Bossi non farebbe a cuor leggero a pezzo quel bambino che ha consegnato invece intero al suo eterno delfino Bobo. Ma sentirsi dire che lui non conta più niente, e che le sue cariche all’interno del partito sono state date solamente per affetto non è cosa facile. Al vecchio senatur, per quanto malato, la cosa non va proprio giù.
“I simboli – aveva detto al congresso – servono se usati bene”. E queste parole, lette a tre settimane di distanza, assumono un tono vagamente minaccioso.
Del resto, le cose, se viste con gli occhi di Maroni, assumono tutt’altro colore. Se vuole rilanciare la Lega, infatti, Bobo sa perfettamente che non può far altro che debossizzarla, senza cancellare del tutto il fondatore.
Il problema è a che velocità questo processo viene messo in cantiere. Nei primi giorni si è proceduto a tappe forzate, via il nome dal quotidiano del partito, “La Padania”, via le foto del leader storico dal sito del partito, via soprattutto il rispetto, con una gragnuola di dichiarazioni sui pieni poteri dati dal congresso a Maroni.
Qualcuno ha capito che si andava troppo in fretta, ed è arriva la frenata, e le foto di Bossi sono tornate al loro posto sul sito. Tutto il resto no, ed è cominciata la guerriglia delle dichiarazioni a distanza fra i due.
Gli scenari futuri sono quelli di una difficile convivenza, oppure di una traumatica rottura. Nel primo caso non è detto che Maroni possa reggere lo stillicidio di un braccio di ferro continuo, se un chiarimento davvero finale fra i due non dovesse arrivare mai. Rischia di essere più plausibile lo scenario della scissione, i giovani alla Salvini o alla Tosi con Maroni, la vecchia guardia con Bossi.
La frase più chiara in questo senso al congresso l’aveva detta il vecchio Enzo Boso, l’ex senatore trentino soprannominato “Obelix”: “Io riconosco un solo capo, che è Bossi, e voto Maroni perché me l’ha detto Bossi”. Il che vuol dire anche che ci sono parecchi Boso che sono pronti, ad un segnale del vecchio capo, a sbarcare dalla navicella maroniana. In più, a spingere il senatur sulla via di una piena ridiscesa in campo c’è anche il parallelo ritorno di Silvio Berlusconi, che trova più difficile ricostruire la tela di un’alleanza con Maroni. Meglio Bossi, i due si capiscono al volo almeno dal 2000.
Ma una Lega spaccata in due – si chiedono in molti – avrà ancora senso. Difficile dirlo oggi, quando i sondaggi registrano un lieve recupero di consensi, seguito al congresso di Assago. Il rischio che i due tronconi si condannino entrambi all’irrilevanza è però concreto. Se – ad esempio – nessuno dei due riuscisse a tornare in Parlamento, sarebbe la fine del sogno federalista in salsa nordista. I due protagonisti di questa vicenda senza fine, i due amici/nemici da una vita di questi rischi sono entrambi perfettamente consapevoli, e quindi faranno di tutto per evitare una rottura, che invece, le rispettive curve invocano a gran voce.