L’hanno avuta vinta, alla fine. Ma, in fondo, si è trattato di una semplice prova di forza. La valenza dell’interera operazione sembra ridursi al soddisfacimento di un capriccio. Sulla carta, al Senato, i voti di Lega e Pdl hanno permesso il via libera al semipresidenzialismo. In base agli emendamenti approvati, il capo dello Stato sarà eletto a suffragio universale e diretto da tutti i cittadini maggiorenni, resterà in carica per, al massimo, cinque anni e non potrà svolgere più di due mandati. Sarà anche capo dell’esecutivo (salvo delega al primo ministro), ma non più del Csm. Ora, al di là dei proclami trionfali di Alfano – «È una scelta che guarda al futuro, ad un rafforzamento della democrazia diretta» – tutti sanno che neanche mezzo comma di quanto approvata a Palazzo Madama approderà indenne alla prossima legislatura. La ratio di tutto ciò ci sfugge. Ne abbiamo parlato con l’ex presidente della Camera, Luciano Violante.



Prima di ieri, a che punto era giunto il dibattito sulle riforme costituzionali?

Avevamo addirittura presentato un  testo comune al Senato, firmato da PdL, PD e Terzo Polo. Dopo la sconfitta elettorale del centrodestra alle scorse amministrative, il PdL ha revocato gli impegni assunti in precedenza. Tuttavia, spero che si riesca almeno a cambiare la legge elettorale e a ridurre il numero dei parlamentari.



L’effetto pratico del “blitz”, quale sarà?

Una serie di  misure che avevamo concordato, a questo punto, non potranno più essere varate. Ovvero il rafforzamento dei poteri del presidente del Consiglio, lo snellimento dell’attività parlamentare e il Senato federale. Temo che resti lettera morta anche la riduzione del numero dei parlamentari. Resta immutata la medesima situazione che si è perpetrata per decenni, mentre, data l’eccezionalità della fase storica, si sarebbero resi necessari come non mai un governo con maggiori capacità decisionali e un Parlamento più snello e funzionale.



Contemplerete l’idea di votare alla Camera il pacchetto approvato in Senato?

Lo escludo. Avremmo potuto prenderlo in considerazione ed esaminarlo se fosse stato proposto in maniera seria. Ma, così come formulato, é solo una grave perdita di tempo, una sorta di tragico trastullo, viste le condizioni in cui si trova l’Italia. Oltretutto, nella forma in cui è stato presentato, è del tutto irrealizzabile.

Perché?

Quand’anche fosse votato pure dalla Camera non lo sarebbe con i due terzi. Di conseguenza, ci sarebbe un referendum. E, ammesso che superasse il voto degli elettori, la nuova forma di governo per entrare effettivamente in vigore ha bisogno di ben 11 misure legislative di attuazione: per esempio le regole per la campagna elettorale, la regolazione del conflitto d’interessi, tutto il nuovo assetto dei poteri costituzionali, la Corte Costituzionale, il CSM, il procedimento legislativo e così via.  Non abbiamo il tempo per farne neanche una. Anche ignorando tutte queste circostanze, all’indomani delle Politiche si verrebbe a determinare un contesto paradossale. 

Cosa intende?

Il nuovo Parlamento sarà eletto ad aprile e il nuovo presidente della Repubblica a maggio; a giugno si terrebbe il referendum. Si renderebbe a quel punto necessario sciogliere le nuovamente le Camere e  rieleggere il Presidente della Repubblica. Si può solo immaginare, in un tale contesto di instabilità e tensione finanziaria, come  la prenderebbero i mercati.

Sul fronte del semipresidenzialismo, qual era la vostra posizione prima dell’approvazione in Senato?

Avevamo suggerito di dar vita ad un serio processo costituente. Prima opzione era approvare il testo che avevamo concordato. Altrimenti approvare una legge costituzionale che istituisse, a partire dalla prossima, legislatura,  una commissione redigente composta da non parlamentari, con il compito di modificare la seconda parte della Costituzione secondo gli indirizzi del Parlamento.

Secondo lei, considerando l’irrealizzabilità del semipresidenzialismo, quali son o le vere ragioni del voto al Senato?

Credo che, dopo la sconfitta elettorale delle amministrative, il problema di fondo del Pdl sia consistito nel trovare qualche argomento che potesse rianimare il partito. Lo dico con rispetto: hanno trovato un argomento sbagliato che fa pagare al Paese una loro difficoltà interna.

L’incidente precluderà eventuali collaborazioni su altri temi?

Il tema in questione era decisivo. Per il resto, in ogni caso, mi auguro che riusciremo a cooperare nell’interesse nazionale. A partire dalla riforma della legge elettorale. Tutto dipende dallo stato di salute e dalle tensioni interne al Pdl, in sospeso tra l’incertezza di Berlusconi sul candidarsi o meno e i conflitti evidenti tra ex An  ed Ex Forza Italia.   

 

 

(Paolo Nessi)