Con l’approvazione degli articoli sul semi-presidenzialismo il Senato ha detto una parola chiara sulle riforme costituzionali possibili: si è rifiutata la proposta originaria, che limitava a poche e deboli correzioni l’intervento sulla presente forma di governo, e si è adottata una soluzione assai diversa, che prospetta un assetto simile al modello francese. Chi vi si oppone, afferma che l’approvazione di una riforma così incisiva avrebbe richiesto e comunque dovrebbe ancora richiedere ben altra discussione rispetto a quella che si è svolta in Senato. Ma, forse, ci si dimentica che sono decenni che, consapevoli della necessità di modificare la forma di governo, discutiamo – ormai con amplissimo livello di approfondimento – su quali debbano essere le riforme da apportare alla disciplina costituzionale dei poteri statuali di indirizzo politico. E si è pure sentita la proposta di sottoporre previamente al popolo la scelta sulla forma di governo da adottare, mediante l’introduzione di una sorta di referendum costituzionale di indirizzo in deroga a quanto previsto dall’art. 138 della Costituzione. Nulla di più costituzionalmente scorretto, se solo si pensa che la Costituzione prefigura per la riforma di sé stessa un procedimento del tutto opposto a quello che è stato suggerito. La nostra Costituzione, infatti, rimette alle Assemblee parlamentari – e non al popolo – la decisione di approvare la legge di revisione della Costituzione, e consente, a determinate condizioni, di appellarsi soltanto in seconda battuta alla volontà popolare, perché sia definitivamente confermato ovvero rifiutato quanto già deliberato nel suo contenuto dalle Camere.
Ed allora finalmente, potremmo dire, con gli articoli approvati in Senato sul semi-presidenzialismo si è seguita la strada conforme al procedimento voluto dal costituente, il quale ha riconosciuto alle Camere – e dunque alle forze politiche ivi rappresentate – la responsabilità di decidere come modificare la Costituzione, e dunque pure la forma di governo ivi disciplinata. Se, come sembra, il Senato riuscirà prima delle ferie estive ad approvare definitivamente il testo della legge costituzionale in questione, spetterà poi alla Camera dei deputati decidere la tempistica della riforma. Qui, come noto, le posizioni rappresentate dalle forze politiche che al Senato sono in minoranza, sono ben più consistenti, e basterebbe poco, soprattutto giocando con i tempi della programmazione parlamentare, per rinviare la decisione sino al punto di far mancare i tempi tecnici necessari per concludere il procedimento prima della scadenza della legislatura. Una cosa, però, resterebbe in ogni caso ferma: la volontà già espressa da un’Assemblea parlamentare a favore del semi-presidenzialismo.
Il semi-presidenzialismo, insomma, non rimane più una delle tante tesi sostenute dagli studiosi, ma diventa una proposta di riforma su cui una camera si è pubblicamente espressa in senso favorevole, assumendosi una specifica responsabilità politica innanzi all’opinione pubblica. Su questa opzione di riforma, allora, dovranno necessariamente pronunziarsi i movimenti e i soggetti partitici che si presenteranno al giudizio degli elettori alla scadenza – naturale o meno – della presente legislatura. Se questa legislatura, al pari delle precedenti, non diverrà quella “legislatura costituente” che molti, anche ai più elevati livelli istituzionali, avevano promesso, rimarrà comunque fermo un segno sufficientemente indicativo di un percorso riformatore possibile.
Questo segno, per di più, potrebbe diventare l’elemento catalizzatore di un nuovo movimento di aggregazione in cui si possano ritrovare tutti coloro i quali credono, senza ipocrisia di sorta, nella possibilità di sviluppare anche nel nostro ordinamento una democrazia davvero responsabile ed efficiente. E ciò potrebbe avvenire proprio mediante l’implementazione di una forma di governo che, ispirandosi al semi-presidenzialismo, sia davvero capace di reggere l’urto sia dei processi di mondializzazione, sia dei conflitti che animano la sempre più articolata esperienza dell’integrazione europea. La presente forma di governo ha avuto meriti indiscutibili nel progresso della nostra Nazione, ma, come dimostrano anche le più recenti vicende, appare sempre più logorata e sfibrata. In definitiva, un comune impegno per riforme istituzionali che restituiscano voce e autorevolezza alle pubbliche istituzioni è ormai indispensabile.