In merito al giudizio sulla politica espresso dal professor Giorgio Vittadini su ilSussidiario.net reagisco come imprenditore che riserva alla politica un’altissima e necessaria attenzione, ma anche come cittadino appassionato al bene comune ed educato alla battaglia per una società più giusta, più vera e più bella, per me e per i miei figli. Dico subito che condivido il rilancio per un’azione politica più incisiva e che possa aprire scenari di costruzione nuovi, però penso che il problema non sia nella politica ma sia nella cultura del nostro popolo, nella civiltà che stiamo realizzando e che stiamo offrendo ai giovani, di cui la politica è solo un’espressione, benché tra le più importanti.
Se la politica è in crisi lo è perché lo è la cultura che la regge e la società di cui essa è espressione. Basta leggere i principali giornali, il loro basso livello intellettuale, che indica modelli di riferimento alquanto discutibili, mentre le organizzazioni sociali non riescono a sfuggire a logiche corporative. Il nostro paese italico, delle mille città, delle confraternite, dell’economia creata dal basso, è entrato ed entra puntualmente in crisi quando decadono le guide, quando le corporazioni o i centri di interesse non badano più alla città (al Paese) ma a difendere esclusivamente la loro rendita, e pèrdono di visione. Le guide non sono rappresentate innanzitutto dai politici, ma è una classe, è una élite essenziale per una nazione, fatta di intellettuali, imprenditori, burocrati ecc. e anche di politici… È in crisi questa élite, questa borghesia, che ha perso la visione del Paese, determinandone la decadenza morale e culturale. La decadenza da cosa la si comprende? Non si individua uno scopo grande per cui valga la pena vivere e quindi anche il nemico vero e nessuno ama dire più la verità, o per lo meno lotta per questa: tutto è essenzialmente ridotto a “particulare”.
Alcuni esempi: c’è qualcuno che si arrabbia davvero per l’enorme evasione fiscale nel nostro Paese? È un problema di civiltà prima che politico. La continuiamo a permettere nei nostri costumi, la accettiamo per default, mentre è inaccettabile, soprattutto quando supera certi livelli.
Tutti dicono che bisogna ridurre la spesa pubblica ma c’è qualcuno del mondo della cultura che ha mai suggerito come fare? Qualcuno ha mai detto con convinzione che il problema della spesa pubblica sta nell’enorme quantità di personale assunto nella Pubblica amministrazione, personale che non possiamo permetterci, che spesso risulta inutile ed inefficace, mentre servirebbe altrove (la famosa e mai attuata mobilità). Per cui da una parte abbiamo il sistema statale italiano, che, a qualunque livello, dal centro fino al Comune, interviene con la preoccupazione non del servizio ma dell’ammortizzatore sociale, che solo in alcune situazioni può essere ragionevole. E dall’altro milioni di posti di lavoro occupati ormai solo da extracomunitari, nonostante la forte disoccupazione giovanile. È una verità che non si può dire. Forse perché il sindacato è talmente forte che tutti tacciono? O perché fa comodo a tutti? Non è solo un problema politico.
Siamo tutti d’accordo che c’è statalismo dovunque, anche nelle università, ma c’è qualcuno tra gli accademici che semplicemente sveli che tra le origini di questo statalismo si ritrova l’assunzione di docenti, che ovviamente, una volta assunti, devono tenere dei corsi e di conseguenza i nostri figli che vanno all’università spesso devono sostenere il doppio degli esami formalmente indicati nel piano degli studi?
Il punto è dunque nella debolezza di formazione intellettuale del nostro popolo, nella mancanza di uomini che abbiano visione, esperienza, educati a un bene più grande e capaci di individuare il nemico e di porre il problema della verità in ogni ambito di vita.
A proposito della capacità di individuare il nemico, un paio di mesi fa la Ducati è stata venduta all’Audi e i giornali di Bologna, nessuno escluso, assieme a tutti i sindacati, osannava i nuovi azionisti, un tipico esempio italiano che fa comprendere lo smarrimento in cu viviamo.
La politica è solo la punta di un iceberg che si assottiglia sempre di più se sotto si scioglie il ghiaccio dell’esperienza da cui attinge. Chi si è preoccupato finora di educare questa classe, questa élite? Chi aiuta a crescere i giovani e soprattutto a curare quelli che saranno la classe dirigente di domani? Non limitandosi ad esaltare solo i De Benedetti, i De Bortoli, i Giavazzi?
Ciò che si fa in tal senso a volte sembra una goccia nel mare. Ma sono certo che goccia dopo goccia, come è sempre accaduto nelle nostre città fin dal Medioevo, si ripartirà ricostruendo e mettendo mano alla realtà particolare di tutti i giorni, connettendola ad uno scopo ideale ed universale. In questa prospettiva è saggio, come fa Vittadini, esplorare, anche per la politica, nuove strade che favoriscano questa rinascita morale e culturale.