Giorgio Vittadini ha ragione su un punto essenziale: il governo Berlusconi non ha rispettato il programma con il quale si era presentato agli elettori. Berlusconi aveva promesso la rivoluzione liberale e invece si è limitato a presidiare lo “status quo”. Del resto era successo così anche in passato e anche coi governi di centrosinistra. Diciamo la verità: il governo Prodi cadde, sì, come spesso accade in Italia, per mano della magistratura (attacco a Mastella e alla sua famiglia) ma in realtà non resse alla grandiosità dei suoi difetti, e cioè all’incapacità di realizzare almeno un briciolo del proprio programma elettorale.



I governi che non attuano i programmi (e cioè l’enorme distanza tra politica-potere e politica-governo) è una delle grandi questioni della seconda Repubblica ed è forse la causa più forte della nascita dell’antipolitca.

Ora, Vittadini costruisce una polemica attorno alla questione della “sussidiarietà liberale”. Cioè un aspetto decisivo del profilo politico del centrodestra. Osserva come la “sussidiarietà liberale” sia rimasta assolutamente lettera morta e ne chiede conto all’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà.



Naturalmente chi mi conosce sa che a me della sussidiarietà liberale interessa molto poco. Nel senso che considero questa concezione dei rapporti tra Stato e società come piuttosto lontana dalle mie idee politiche. Anche se, logicamente, non posso non cogliere nelle proposte e nelle battaglia di Vittadini, compresa quella sulla sussidiarietà, il tentativo di trovare delle vie per “riformare” il liberismo. E sarebbe assurdo, per chiunque, non guardare con interesse a qualunque tentativo di riformare il liberismo.

Perché? Per una ragione chiarissima. Il riformismo del quale si sente sempre parlare, da molti anni, tanto a destra quanto a sinistra, è acqua fresca. I giornali, in genere, per riformismo intendono qualcosa che modifichi le leggi e i rapporti di forza all’interno della società, a favore dei più forti e del profitto. Per riformismo, a occhio e croce, s intende qualche legge che piaccia a Confindustria. 



E invece il riformismo è una cosa molto diversa e anche molto urgente. In cosa consiste? Nel tentativo di riformare i grandi sistemi di idee che hanno dominato negli ultimi cinquant’anni e che hanno fallito. E cioè, soprattutto – schematizzando un po’ – il sistema socialista e quello liberista. Oppure, usando altre parole, quello statalista e quello mercatista. 

Il riformismo è una politica che punta a smontare queste due macchine che, in varie forme, sono responsabili della crisi attuale e dell’attuale punto di stallo al quale è arrivata la nostra società. A smontarle e a ricostruirle in modo diverso. Consegnandoci una nuova e moderna destra e una nuova e moderna sinistra. 

È chiaro che non è possibile uscire dalla stallo senza un riformismo vero. E cioè senza modificare, in modo significativo, i due grandi sistemi di idee. La sinistra si deve porre il problema di come affermare i suoi grandi valori egualitari al di fuori dello statalismo. La destra, viceversa, deve trovare la strada per affermare i propri valori (il merito, la concorrenza, la libertà, la patria, la gerarchia, ad esempio) al di fuori della dittatura del mercato. E io non credo che sia possibile una cosa senza l’altra. Cioè non credo che sia possibile un riformismo di sinistra se non sia avvia un riformismo di destra e viceversa.

Ecco, la “sussidiarietà liberale” è un tentativo che va esattamente in quella direzione: di riforma del liberismo. Perciò, anche se non condivido la linea di Vittadini, non posso che essere sommamente interessato alla sua idea di modernizzazione. E posso solo dargli ragione quando si indigna coi parlamentari che da anni non cavano un ragno dal buco. E si rifugiano, terrorizzati, nel montismo.

 

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