La riforma della legge elettorale scalda gli animi nei due principali partiti, il Pdl e il Pd. Venerdì il presidente del Senato, Renato Schifani, aveva dichiarato: “La legge elettorale va cambiata, va restituita ai cittadini la piena sovranità e soprattutto il diritto di scegliere i propri rappresentanti. Votando anche a maggioranza? Se necessario, sì. Nelle regole della democrazia parlamentare, anche se questo scenario non mi entusiasma, perché sulla scelta delle regole è necessario il massimo consenso”. Sabato la risposta di Bersani: “Quanto alla ipotesi del colpo di mano, è evidente che se si ripetesse per la legge elettorale quel che si è visto proprio in Senato per la riforma costituzionale, sarebbe un atto di rottura irrimediabile”. Ilsussidiario.net ha intervistato l’editorialista del Corriere della Sera, Antonio Polito.
Che cosa ne pensa di quella che Bersani ha definito “l’ipotesi del colpo di mano”?
E’ molto difficile che il Parlamento possa approvare una legge elettorale a spizzichi e bocconi, cioè a furia di emendamenti e di sostituzioni. Quest’ultima dovrebbe essere una norma organica per antonomasia, in cui ogni singola parte si tiene con l’altra. Farla passare un pezzo alla volta, magari anche cambiando le maggioranze sui singoli emendamenti, difficilmente può produrre risultati positivi.
Quindi lei non è d’accordo con Schifani?
Lo stesso presidente del Senato ha in realtà precisato che ciò che ha indicato come possibilità, cioè una legge approvata dalla sola maggioranza in Parlamento, non è ovviamente ciò che lui preferisce, in quanto la salute del nostro sistema democratico richiede che il sistema elettorale sia frutto di un voto il più largo possibile. Trattandosi della norma che fissa le regole del gioco, si deve fare in modo che tutti i giocatori la considerino quantomeno equa, e che nessuno tenti di utilizzarla per trarne un vantaggio di parte.
Lei come valuta le proposte presentate dal Pdl?
La riforma del centrodestra, anziché di essere uno dei tanti modelli possibili, è un adattamento del sistema politico italiano al fatto che sono esplose le coalizioni. Si ritorna al proporzionale, corretto con un premio al partito che conquista il maggior numero di voti. Questa legge elettorale non favorirebbe la nascita di una maggioranza parlamentare. Tutti gli altri sistemi, generalmente maggioritari, sono infatti finalizzati proprio a moltiplicare il vantaggio di voto popolare in seggi, assegnando maggioranze parlamentari. E’ per questo che si chiamano sistemi maggioritari.
Lei quale modello predilige?
Le opzioni sono diverse, ciascuna ha dei lati positivi, in particolare il doppio turno alla francese o il maggioritario secco con turno unico adottato nel Regno Unito. Ma anche lo stesso proporzionale spagnolo, basato su circoscrizioni piccole in modo da premiare i due partiti principali: nei fatti è un maggioritario perché assegna una maggioranza. Per non parlare della soluzione tedesca, più rispettosa della rappresentatività ma comunque in grado di individuare una maggioranza. La riforma proposta dal Pdl mi sembra invece un “pesce bollito”, in cui ognuno prende la stessa percentuale di voti e di seggi tranne il primo arrivato che ne prende un po’ di più.
Il “Porcellum” è un sistema maggioritario, ma non ha consegnato al Paese delle maggioranze stabili …
Il “Porcellum”, a differenza del “Mattarellum”, non è un maggioritario ma un sistema unico al mondo che assegna alla coalizione vincente la maggioranza dei seggi in una delle due Camere, ma non nell’altra. Il collegio è unico, e questo costringe una serie di forze anche molto diverse tra loro a mettersi insieme per entrare in Parlamento anche solo con il 2%. Non dimentichiamo inoltre che per ottenere il finanziamento ai partiti basta l’1%.
Le preferenze vanno reintrodotte?
La rivoluzione italiana del ’92-‘94 è partita come una ribellione contro il sistema delle preferenze, considerato come l’emblema massimo della corruzione e della partitocrazia. A indire il referendum contro le preferenze multiple fu Mario Segni. Craxi invitò gli elettori ad andare al mare, e invece votarono quasi tutti gli italiani e l’80% di essi disse sì all’abrogazione.
Perché togliere agli elettori la possibilità di scegliere?
Perché la competizione deve avvenire tra i partiti, e non tra i candidati della stessa lista. Il mio auspicio oggi non è un ritorno alle preferenze ma l’introduzione dei collegi uninominali, possibilmente di dimensioni non particolarmente grandi. In ciascuno di essi ogni partito presenta il suo candidato, e chi vince va in Parlamento. Questo si può fare con un turno secco, con due turni come in Francia o con una correzione proporzionale in base a cui i resti di chi ha perso nel collegio sono ricomputati alla fine su scala nazionale per favorire i partiti minori.
(Pietro Vernizzi)