Caro direttore, sto leggendo con piacere i vari commenti che si sono susseguiti dopo la pubblicazione dell’articolo scritto dal Prof. Vittadini. Tutti sono pertinenti, tutti dicono cose sacrosante, ma in quasi tutti emerge un dato: il superamento dell’attuale situazione di crisi è legato al rinnovamento della politica, a ciò che farà la Germania o a ciò che dirà Draghi per rasserenare i mercati. Tutte cose importanti e necessarie ma che vedono il cittadino comune come me impotente e spettatore.
Ma la democrazia non è un’altra cosa? Che potere ha veramente il cittadino e cosa può legittimamente aspettarsi dallo Stato? A me pare che oggi l’unica cosa che ciascuno di noi può fare è leggere un giornale o ascoltare l’intervento del tal politico o opinionista e augurarsi che dia un messaggio rassicurante per passare la giornata più serenamente!
Ma vorrei andare oltre. In questi giorni sono alle prese con la decisione della scelta universitaria che mia figlia, neo diplomata, non riesce a compiere. Come dire che una ragazza di 18 anni non ha alcuna idea di cosa vuole fare “da grande” quasi come se, qualsiasi scelta intrapresa, fosse ininfluente per il suo domani. Credo che un tale atteggiamento sia anche il segno che sta venendo a mancare il gusto di fare le cose, l’ambizione di impegnarsi in qualcosa che piace, lo studiare per il gusto di farlo. E in questo scenario anche i giovani rischiano di rimanere in attesa che “qualcuno” scelga per loro.
Rimettendomi, con molta semplicità, i panni del comune cittadino prima ancora di preoccuparmi del futuro mio e della mia famiglia, in questi ultimi anni mi trovo ad affrontare le questioni del quotidiano: le bollette e il mutuo da pagare, la spesa da fare, il pieno sempre più caro, lo sciopero delle farmacie, ecc. Ma è mai possibile che ci siamo rassegnati solo a sopravvivere, a resistere e a non poter fare proprio nulla? Dove è finita la tradizione del popolo italiano sempre laborioso, solidale e pronto a reagire?
Manca la fiducia perché, a parer mio, per troppo tempo abbiamo riposto la fiducia in altro da noi. Partendo dalla personale considerazione che, purtroppo, tutto ciò che facciamo (o che vorremmo fare) è condizionato dal denaro, appare chiaro che bisogna guardare con uno sguardo nuovo al rinnovamento del lavoro in quanto fonte di reddito per pensare al nostro futuro. Da anni studio il fenomeno delle “aggregazioni fra le imprese” e tale studio ha rafforzato in me il convincimento che solo la condivisione di bisogni concreti comuni – anche per le imprese piccolissime o i negozi che stanno chiudendo – può favorire una reale svolta.
L’aggregazione fra imprese, che oggi si può realizzare attraverso il “contratto di reti di imprese”, non è una risposta che scaturisce dalla riflessione “l’unione fa la forza”. E qualcosa di più, è una reazione concreta. Ci si mette insieme perché le imprese hanno un obiettivo comune (per esempio internazionalizzarsi), hanno un problema in comune (trasportare le merci) o intendono ridurre i costi di gestione.
E si possono mettere assieme, se c’è il desiderio di fare un percorso in compagnia, l’impresa piccolissima e la media azienda.
Per me e per alcuni amici il tema della “reti”, come risposta certamente parziale, ma comunque concreta, è diventato quasi un impegno sociale e per tale ragione abbiamo fondato l’associazione ASSORETIPMI che non nasce da nessuna appartenenza politica e che non rappresenta nessuna “categoria” in particolare. Siamo persone di “buona volontà” e stiamo mettendo a disposizione le nostre professionalità per aiutare le imprese a risollevarsi. Visionari, idealisti? Può darsi, ma da qualcosa bisogna pur partire. E chiunque vorrà confrontarsi con questa esperienza – consulenti, imprese ma anche politici o giornalisti – sarà graditissimo compagno di viaggio.
(Giuseppe Finocchiaro – ASSORETIPMI Delegato Territoriale Sicilia)