Come in ogni fase di cambiamento, di transizione, di crisi e di incertezza sul futuro, anche la fase attuale potrebbe giovarsi significativamente di una nuova Costituzione o, almeno, di una profonda revisione di quella vigente. Costituire o rinnovare il contratto sociale, riaffermare i valori da perseguire e in cui identificarsi, ripensare alle regole di fondo su cui basare il cambiamento, identificare la direzione verso cui indirizzarsi con uno sforzo autenticamente comune e condiviso potrebbe dare veramente una svolta al Paese, aiutarlo ad uscire dalle secche di una situazione confusa e problematica per orientare il cammino verso nuovi e più convincenti traguardi.
È per questo che molte ed autorevoli sono le voci che si levano per auspicare una Assemblea Costituente, una seconda Assemblea che – visto il successo della prima, quella che ha guidato l’uscita dal dramma della guerra – possa fare da detonatore alle molte potenzialità presenti in Italia e che faticano a trovare lo spazio per uno sviluppo. Oggi invece si naviga a vista e si riflette sui cambiamenti solo dopo che sono accaduti.
Un grande, un nuovo patto per il Paese: per questo l’idea di ritrovarsi per rilanciare piace a molti. Sono davvero molti? L’afflato – se si contano quelli che lo nutrono, se li si guarda da vicino – risulta essere drammaticamente poco condiviso e, soprattutto, poco ascoltato.
Potremmo certamente eleggere 75 nuovi Padri costituenti, di altissimo profilo, di provata moralità, tecnicamente esperti e politicamente lungimiranti. Pur facendo un sforzo di fantasia istituzionale, i profili che rispondono all’identikit restituiscono l’immagine di una coorte le cui file sono, tutto sommato, men che esigue. Il che è già da solo sufficiente a smorzare gli entusiasmi costituenti o, almeno, a moderarli alla luce del dovuto realismo.
Lo stesso realismo che, oltre a guardare ai possibili e improbabili protagonisti, impone di prendere atto anche della base sociale, del popolo, elemento imprescindibile perché il nuovo patto costituzionale attecchisca e produca frutti. Si può, infatti, realisticamente ritenere che la riscrittura di alcuni dei 139 articoli della Costituzione vigente possa essere così attraente da risvegliare energie, desideri, creatività, senso del bene comune, capacità di accoglienza, ardore, sprezzo della fatica e molte altre doti ancora, queste sì fondamentali perché il Paese torni a marciare? Si può muovere alla virtù con un progetto ri-costituente pensato a tavolino? Si può realisticamente ritenere che una classe politica in affanno possa trovare risanamento dibattendo ex novo su come impostare il federalismo, su quali poteri dare e non dare ad un capo di Stato, su un nuovo assetto di relazioni tra Parlamento e Governo, su come impostare in modo meno verticistico il rapporto con le istituzioni europee?
Una Carta costituzionale, anche riscritta, è solo un tassello di un sistema; per quanto importante, per quanto fondamentale, essa vive dentro le condizioni materiali di un Paese, della sua politica, delle sue istituzioni, della sua cultura, giuridica e non; per questo da sempre si parla di costituzione materiale, che plasma e riscrive continuamente quella formale, quella scritta. Iscriviamoci pure le regole sul pareggio di bilancio, su un nuovo Senato federale, e altro ancora: questo (che tra l’altro comporta uno sforzo notevolissimo) non esimerà dalla fatica di tradurre le norme in passi concreti volti a realizzare quanto si prefigura, per esempio una buona legge elettorale scritta per il Paese e non per cercare di restare a galla nell’era del grillismo e dell’assenteismo (elettorale e non). Senza dimenticare che di Senato federale si parla dal 1958, pur nelle diverse denominazioni di volta in volta reperite (che sia la volta buona?) e che le regole sulla forma di governo sono scritte in modo così “aperto” (espressione tecnica che indica il fatto che i costituenti in materia non vollero creare nulla di definitivo) da aver legittimato tutte le diverse fasi e le diverse repubbliche che abbiamo conosciuto negli ultimi 50 anni, ben oltre la pur sancita rigidità costituzionale che – come è noto – riguarda principalmente i diritti fondamentali e il controllo di costituzionalità delle leggi, ma che si flessibilizza assai di fronte ai cambiamenti che la politica e le trasformazioni – anche quelle imposte in sede europea – che abbiamo subito.
Scriviamo pure una nuova Costituzione o riscriviamo l’esistente, se ce ne sarà la forza, ma che non sia ancora una volta uno stratagemma che ha per scopo di cambiare tutto per non cambiare nulla. Sotto il vestito, niente?